Le novelle marinaresche di mastro Catrame. Emilio Salgari
Читать онлайн книгу.che di pensare a Nettuno! Ma quale vendetta si prende talora questo re del mare! Oh che! credete forse che gli antichi marinai abbiano inventato la cerimonia per far ridere voi, spregiudicati? O credete che un tempo pensassero a divertirsi frammezzo alle onde incalzanti e ai sibili diabolici del vento? No, no; e papà Catrame, se così vi parla, ne ha il motivo.
– Voi siete giovani, e nulla sapete sul passaggio della linea, che oggi si celebra al più con una innaffiata del ponte; ma un tempo era una cerimonia importante, e nessun marinaio, per quanto audace, avrebbe osato passarvi sopra, poiché la vendetta di Nettuno presto o tardi lo avrebbe infallantemente colpito.
Ora ve lo proverò.
Papà Catrame rattizzò la pipa col suo pollice incombustibile, sorseggiò un buon bicchiere che gli offriva il capitano, reclamò con un gesto maestoso il più assoluto silenzio, e dopo di essersi accomodato sul barile, principiò la sua seconda e non meno interessante narrazione.
– Un destino strano, incomprensibile, mi spinse sempre a prendere imbarco sulle peggiori navi della nostra marina; e io non le cercavo, veh! Quasi tutti i capitani che ho servito nella mia lunga, lunghissima carriera marinaresca, erano bestemmiatori o scredenti. Non badavano alle nostre tradizioni, non badavano ai nostri vecchi usi, non credevano né alle sirene, né alle figlie della spuma, né ai mostri marini, a nulla insomma.
– Mi ero imbarcato in qualità di gabbiere su di una vecchia corvetta, di cui ora non ricordo il nome, poiché sono passati da quell’epoca lunghi anni. Era una gran nave però, buona veliera, un po’ vecchia, sì, ma colle costole ancora robuste, destinata ai lunghi viaggi dell’Oceano Atlantico e dell’Indiano, e perciò costretta a passare sovente la linea equatoriale.
– Il capitano aveva sempre, fino allora, conservato l’usanza di rendere il dovuto omaggio al re del mare, quando dall’emisfero settentrionale passava nell’emisfero australe, e mai aveva avuto a pentirsene. Anzi soleva dire che, appunto per quello, la sua corvetta godeva una buona protezione; ed infatti mai una tempesta fatale l’aveva sorpresa, e quelle ordinarie le aveva facilmente vinte.
– Ma gli uomini purtroppo cambiano, e anche il nostro capitano, seguendo l’andazzo dei tempi, a poco a poco si era mutato, diventando uno spregiudicato.
– Avvenne or dunque che la nostra corvetta si trovò un giorno nei pressi della linea equatoriale. Voi già sapete che questa linea è puramente geografica, e perciò invisibile: è un semplice parallelo, egualmente distante dai due poli.
– L’equipaggio, fedele alle tradizioni marinaresche, cominciò a fare i preparativi onde procedere al battesimo, e rendere quindi il dovuto omaggio a Nettuno, il quale si dice abiti in prossimità della linea.
– Oh, allora erano bei tempi! Voi siete giovani, e non potete avere che una pallida idea di quella cerimonia che faceva battere il cuore del marinaio, perché sapeva di compiere un dovere che lo metteva al coperto dal furore degli oceani.
– Quando echeggiava sul ponte di comando: «Ecco la linea!» una viva emozione s’impadroniva di tutti: ufficiali, marinai e mozzi, eccoli tutti in movimento per prepararsi alla festa.
– La gran gala, formata dalle bandiere di tutti gli Stati del mondo e dalle bandiere dei segnali, saliva maestosamente in aria, distendendosi fra l’albero di mezzana e la punta del bompresso, e il vessillo nazionale s’innalzava maestosamente sul picco della randa, salutato da un colpo di cannone.
– Si frugavano e rifrugavano le casse di tutti, si spogliavano le cabine dell’ufficialità e dei passeggeri per ornare l’opera morta, e dappertutto si stendevano tappeti, arazzi e scialli variopinti, tramutando la nave in un’immensa sala, sfolgorante pei lucenti metalli dell’attrezzatura e per le tinte vivaci di tutto quel pandemonio di bandiere svolazzanti e di stoffe spiegate al vento.
– Il mastro d’equipaggio e una dozzina dei più robusti marinai scomparivano, mentre gli altri preparavano le pompe e i mastelli pel battesimo, tanto più gradito al re del mare quanto più era abbondante
– Nel momento preciso che il vascello passava la linea, ecco giungere sotto l’anca di tribordo o di babordo un’imbarcazione adorna di arazzi e di bandiere, montata da una dozzina di tritoni e da un vecchio che raffigurava Nettuno. Una voce grossa grossa si alzava dal mare, chiedendo:
«È battezzato il vascello?»
– «No!» – rispondeva l’equipaggio.
– «Ammainate la scala, dunque!» – comandava la voce grossa.
– La scala d’onore veniva tosto calata: i marinai si schieravano a prua coi mastelli pieni d’acqua, dinanzi e attorno alle pompe; gli ufficiali e i passeggeri a poppa.
– Il re del mare saliva gravemente sul ponte. Era un vecchio dalla lunga barba, adorno di conchiglie, recante in capo una corona di metallo e nella sinistra un tridente. Lo seguivano dodici marinai camuffati da tritoni, carichi di conchiglie e di alghe marine.
– Il re, che era rappresentato dal mastro, si avanzava verso il capitano, seguito da tutto il suo stato maggiore, e dopo di aver ricevuto un lungo inchino da parte dell’intera ufficialità, chiedeva al comandante: «Hai pagato il tuo tributo al re del mare?»
– «No», – rispondeva il capitano.
– «Allora ti battezzo».
– Così dicendo, prendeva una tinozza piena d’acqua e la rovesciava sul capo di lui inondandolo completamente.
– Quello era il segnale del battesimo generale. Le pompe, energicamente manovrate, inondavano passeggeri e ufficiali, e le tinozze si vuotavano sul capo di tutti. Torrenti d’acqua correvano da prua a poppa, recando il dovuto tributo al re del mare, e la battaglia si prolungava fino al completo esaurimento delle forze di ambe le parti.
– La nave, così battezzata, poteva allora sfidare impunemente i furori degli oceani, poiché Nettuno la proteggeva; ma guai a non farlo! Il tributo d’acqua si cambiava in una ecatombe umana, e papà Catrame, che è ancora qui, vivo per miracolo, lo sa!
Il vecchio marinaio per la terza volta s’interruppe, girando sull’attento equipaggio un lungo sguardo, come per accertarsi che tutti lo ascoltavano religiosamente; ricaricò la pipa, l’accese, indi continuò: – Come vi dissi, la nostra corvetta era giunta nei pressi della linea: fra qualche ora doveva lasciare l’emisfero settentrionale per entrare in quello meridionale.
– Il nostro mastro, rigido osservatore delle tradizioni marinaresche, si recò sul ponte di comando seguito da tutto l’equipaggio, e disse al capitano: «La linea è vicina, signore; Nettuno esige il suo tributo».
– «Vada al diavolo Nettuno e tutti i suoi tritoni» rispose lo scettico.
– Il mastro impallidì.
– «Volete chiamare la sfortuna a bordo, signore», – disse.
– «Me ne rido della collera di Nettuno, io».
– «Ma l’equipaggio…»
– «Basta così», – rispose ruvidamente il capitano. – «Sono padrone io a bordo: andatevene!»
– Salì sul ponte di comando, ordinò di sciogliere tutte le vele, perfino gli scopamari e i coltellacci, e, per colmo di spavalderia insensata, fece ammainare la bandiera, onde togliere al re del mare ogni idea che lo si volesse salutare.
– La corvetta, spinta da un buon vento, s’inoltrò verso la linea; ma, cosa strana davvero, camminava più lenta del solito, e pareva che ad ogni istante fosse lì lì per arrestarsi. I marinai sussurravano che erano i tritoni del re del mare che si aggrappavano alla carena per non lasciarla passare; ma il capitano crollava il capo e faceva aggiungere sempre nuove vele a quelle già sciolte.
– A mezzogiorno preciso la corvetta passava la linea. Quasi nel medesimo istante un fremito agitò la tranquilla distesa dell’oceano, e dalla profondità degli abissi uscì un cupo rimbombo. Poco dopo un’onda immensa sorse agli estremi confini dell’orizzonte, si distese e venne a rompersi con cupi muggiti sulla prua della nave.
– Ci guardammo l’un l’altro, stupiti