Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 4. Edward Gibbon

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 4 - Edward Gibbon


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Ma la testimonianza d'uno scrittore contemporaneo, che in un trattato apposta ha difeso la causa della religione, compartisce alla pietà dell'Imperatore un più stupendo e sublime carattere. Afferma egli colla più perfetta sicurezza, che nella notte precedente l'ultima battaglia contro Massenzio, Costantino fu ammonito in sogno di fare imprimere sugli scudi de' suoi soldati il celeste segno di Dio, cioè il sacro monogramma del nome di Cristo; ch'esso eseguì gli ordini del Cielo; o che fu premiato il valore e l'obbedienza di lui colla decisiva vittoria sul ponte Milvio. Alcuni riflessi potrebbero forse indurre uno spirito scettico a sospettare del giudizio o della veracità dell'Oratore, la penna del quale, o per zelo o per interesse, era addetta alla causa della fazion vittoriosa40. Pare che egli pubblicasse le sue Morti de' Persecutori a Nicomedia circa tre anni dopo la vittoria di Roma; la distanza però di mille miglia e di mille giorni concede un vasto campo all'invenzione de' declamatori, alla credulità del partito ed alla tacita approvazione dell'Imperatore medesimo, che poteva senza sdegnarsi prestare orecchio ad una maravigliosa novella ch'esaltava la fama, e promoveva i disegni di lui. Anche in favor di Licinio, che tuttavia dissimulava la sua animosità contro i Cristiani, l'istesso Autore produsse una simile visione, indicante uno specie di preghiera, che fu comunicata da un Angelo, e ripetuta da tutto l'esercito prima d'attaccare le legioni del tiranno Massimino. La frequente ripetizione de' miracoli, quando non sottomette la ragione umana, non serve che ad irritarla41; ma se voglia considerarsi a parte il sogno di Costantino, può naturalmente spiegarsi o colla politica o coll'entusiasmo dell'Imperatore. Essendo sospesa da un breve ed interrotto sonno la sua ansietà per la prossima giornata, che dovea decidere del destino dell'Impero, potè per avventura presentarsi all'attiva fantasia d'un Principe, che venerava il nome, e forse aveva secretamente implorato il potere del Dio dei Cristiani, la venerabile immagin di Cristo ed il ben noto simbolo della sua religione. Con ugual facilità potè ancora un consumato Politico usare uno di quei militari stratagemmi, una di quelle pie frodi, che avevano adoperate con tant'arte ed effetto Filippo e Sertorio42. Generalmente ammettevasi dalle nazioni antiche l'origine soprannaturale de' sogni, ed una gran parte dell'esercito della Gallia era già preparata a collocare la sua fiducia nel segno salutare della religione Cristiana. La segreta visione di Costantino non poteva esser confutata che dall'evento; ma quell'intrepido Eroe, che aveva passato le alpi e l'apennino, poteva risguardare con non curante disperazione le conseguenze d'una disfatta, che gli fosse toccata sotto le mura di Roma. Il Senato ed il Popolo, esultando per la loro liberazione da un odioso tiranno, riconobbero che la vittoria di Costantino sorpassava le forze umane, senz'ardire però di attribuirla alla protezione degli Dei. L'arco trionfale, che fu innalzato circa tre anni dopo il fatto espone con frasi ambigue, ch'egli salvata aveva e vendicata la Repubblica Romana per la grandezza della sua mente e per un istinto o impulso della Divinità43. L'oratore Pagano, che antecedentemente avea preso l'opportunità di celebrar le virtù del Conquistatore, suppone ch'egli solo godesse un segreto ed intimo commercio coll'Ente Supremo, il quale ha delegata la cura de' mortali agli altri subordinati suoi Dei; e così viene ad assegnare una ragione molto plausibile, per la quale i sudditi di Costantino non dovessero presumere d'abbracciare la nuova religione del loro Sovrano44.

      III. Il filosofo, che con tranquilla cautela esamina i sogni o gli augurj, i miracoli ed i prodigi della storia profana, ed anche dell'Ecclesiastica, probabilmente concluderà, che se gli occhi degli spettatori sono stati qualche volta ingannati dalla frode, molto più spesso l'intelligenza de' lettori è stata insultata dalla finzione. Ogni avvenimento, apparenza, o accidente, che sembri deviare dall'ordinario corso della natura, s'è temerariamente attribuito all'immediata azione della Divinità; e la sorpresa fantasia della moltitudine qualche volta ha dato figura e colore, linguaggio e movimento alle momentanee ma insolite meteore dell'aria45. Nazario ed Eusebio sono i due più celebri oratori che con istudiati panegirici si sono adoperati ad esaltare la gloria di Costantino. Nove anni dopo la vittoria romana, Nazario46 descrive un esercito di guerrieri divini, che sembravano scender dal cielo; egli ne nota la bellezza, lo spirito, le figure gigantesche, i raggi di luce che uscivano dalle celesti loro armature, la pazienza che avevano in farsi vedere e udir da' mortali, ed il dichiarar che facevano d'essere mandati, e di volare ad assistere il gran Costantino. Per la verità di questo prodigio il Pagano oratore chiama in testimonianza tutta la nazione Gallica, in presenza della quale allora parlava, e sembra, che da questo recente e pubblicato fatto prenda occasione di sperare, che sia per prestarsi fede alle antiche apparizioni47. La favola Cristiana d'Eusebio, che nello spazio di ventisei anni potè trarre la sua origine dal sogno, è gettata in una forma più corretta ed elegante. Si dice, che Costantino, in una delle sue marce, vedesse co' propri occhi il trofeo luminoso della Croce posta sopra il sole nel mezzogiorno, colla seguente iscrizione. «Per mezzo di questo vinci». Tal sorprendente oggetto nel cielo fece stupire tutto l'esercito non meno che l'Imperatore medesimo, ch'era tuttavia dubbioso intorno alla scelta d'una religione; ma il suo stupore si convertì in fede, mediante la visione della notte seguente. Comparve Cristo avanti a' suoi occhi, e tenendo il medesimo celeste segno della Croce, ordinò a Costantino di formare uno stendardo simile a quello, e di muovere, sicuro della vittoria, contro Massenzio e tutti gli altri nemici48. Sembra che l'erudito Vescovo di Cesarea siasi accorto, che la recente scoperta di questo maraviglioso aneddoto avrebbe eccitato qualche sorpresa e diffidenza anche fra' suoi più devoti lettori. Pure, in cambio di assegnare le precise circostanze del tempo e del luogo, che ordinariamente servono a scuoprire la falsità, od a stabilire la certezza de' fatti49; in cambio di raccogliere e di citar la testimonianza di tante persone viventi, che dovettero essere spettatrici di tale stupendo miracolo50, Eusebio si contenta d'addurre una testimonianza molto singolare, cioè quella di Costantino già morto, il quale molti anni dopo quell'avvenimento, discorrendo famigliarmente con esso, gli aveva raccontato quest'accidente straordinario della sua vita, e con solenne giuramento ne aveva confermata la verità. La prudenza e la gratitudine del dotto Prelato non gli permisero di sospettare della veracità del suo vittorioso Signore; ma egli dà chiaramente a conoscere che, in un fatto di tal natura, non avrebbe prestato fede a qualunque altra minore autorità. Sì fatto motivo di credibilità non potea sopravvivere alla potenza della famiglia Flavia; ed il segno celeste che si poteva in seguito porre in ridicolo dagl'Infedeli51, fu trascurato da' Cristiani del secolo che immediatamente seguì la conversione di Costantino52. Ma la Chiesa Cattolica, sì dell'Oriente che dell'Occidente, ha adottato un prodigio, che favorisce o sembra favorire il popolar culto della croce. La visione di Costantino si mantenne un onorevole posto nelle leggende della superstizione, finattanto che l'ardito e sagace spirito di critica ebbe la fermezza di non apprezzare il trionfo, e di attaccare la veracità del primo Imperatore Cristiano53.

      I lettori protestanti e filosofici del presente secolo saranno disposti a credere che Costantino, raccontando la sua conversione, volontariamente attestasse una falsità con un solenne e deliberato spergiuro. Essi non dubiteranno forse di pronunziare, che nello scegliere una religione fosse determinato l'animo suo solo da un sentimento d'interesse; e che (secondo l'espressione d'un Poeta54 profano) si servisse degli altari della Chiesa, come di un conveniente gradino al trono dell'Impero. Una conclusione però così aspra ed assoluta non è coerente alla cognizione che abbiamo della natura umana di Costantino o del Cristianesimo. In un tempo di religioso fervore si osserva che i più artificiosi politici sentono in se stessi qualche parte di quell'entusiasmo, che inspirano agli altri; ed i Santi più ortodossi assumono il pericoloso privilegio di difender la causa della verità colle armi della falsità e dell'inganno. Spesso l'interesse personale è lo stendardo della nostra fede, non meno che della nostra condotta, e gli stessi motivi di vantaggi temporali, che valsero ad influire sul contegno pubblico e sulla professione di Costantino, poterono anche insensibilmente disporne lo spirito ad abbracciare


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<p>40</p>

Caecil. de M. P. c. 44. Egli è certo che questa istorica declamazione fu composta e pubblicata, mentre Licinio Sovrano dell'Oriente conservava sempre l'amicizia di Costantino e de' Cristiani. Ogni lettore di buon gusto si deve accorgere, che lo stile è d'un carattere molto diverso ed inferiore a quel di Lattanzio, e tale in fatti è il giudizio del Clerc e del Lardner, (Bibl. anc. et mod. Tom III. p. 438 Credibil. del Angelo ec. P. 2 vol. II. p. 94). Quelli, che son per Lattanzio, deducono tre argomenti di tale opinione dal titolo del libro e da' nomi di Donato e di Cecilio. Vedi il P. Lestocq (T. II. p. 46-60). Ciascheduna di queste prove presa da se è debole e mancante, ma l'unione di esse ha gran peso. Io sono stato spesso dubbioso, e seguiterò senza darmene altro pensiero il MS. Colbertino, chiamando l'A. chiunque siasi Cecilio.

<p>41</p>

Caecil. de M. P. c. 46. Par che sia ragionevole l'osservazione di Voltaire (Oeuvr. Tom. XIV. p. 307), che attribuisce al successo di Costantino l'essere stata la fama del suo Labaro maggiore di quella dell'Angelo di Licinio. Pure anche quest'Angelo ha incontrato favore appresso il Pagi, il Tillemont, il Fleury, che sono impegnati ad accrescere la loro quantità di miracoli.

<p>42</p>

Oltre questi ben cogniti esempi, Tollio, nella Prefazione alla traduzione di Longino fatta da Boileau, ha scoperto una visione d'Antigono, che assicurò le sue truppe d'aver veduto un pentagono (simbolo di salvezza) con queste parole «In questo vinci». Ma Tollio è affatto inescusabile per avere omesso di addurre donde ha ricavato quel fatto; ed il suo carattere nella letteratura, ugualmente che nella morale, non è superiore ad ogni eccezione. Vedi Chauffepiè Diction. crit. Tom. IV. p. 460. Senza insistere nel silenzio di Diodoro, di Plutarco, di Giustino ec. si può osservar, che Polieno, il quale in un capitolo a parte (l. IV. c. 6), ha raccolto diciannove stratagemmi militari d'Antigono, non è punto informato di questa notevol visione.

<p>43</p>

Instincta Divinitatis, mentis magnitudine. Da qualunque curioso viaggiatore può sempre leggersi l'Iscrizione sull'arco trionfale di Costantino, che fu copiata dal Baronio, dal Grutero ec.

<p>44</p>

Habes profecto aliquid cum illa mente divina secretum, quae delegata nostra Diis minoribus cura uni se tibi dignatur ostendere. Panegyr. vet. IX. 2.

<p>45</p>

Freret (Mem. de l'Acad. des Inscript. Tom. IV. p. 411-417) spiega per mezzo di cause fisiche molti prodigi dell'antichità, e Fabricio, di cui abusano ambe le parti, vanamente procura di porre la celeste croce di Costantino fra gli aloni solari. Biblioth. Graec. Tom. VI. p. 8-29.

<p>46</p>

Nazar. Paneg. vet. X. 14, 15. Non è necessario nominare i moderni, l'avido e non discernente appetito de' quali ha ingoiato anche il cibo Pagano di Nazario.

<p>47</p>

Vengono attestate dagli Istorici e da' pubblici monumenti le apparizioni di Castore e di Polluce, specialmente per annunziare la vittoria Macedonica. Vedi Cicer. de Nat. Deor. II. 2. III; 5. 6. Flor. II. 12. Val. Massim. lib. I. c. 8 n. 2. Pure il più recente di questi miracoli è omesso, ed indirettamente negato da Livio, XLV. I.

<p>48</p>

Eusebio l. I. c. 18, 19, 20. Il silenzio d'Eusebio stesso, nella sua Storia Ecclesiastica, ha veramente toccato sul vivo tutti que' difensori del miracolo che non sono affatto insensibili.

<p>49</p>

Sembra che la narrazione di Costantino indichi, ch'esso vide la croce nel cielo, avanti di passar le alpi contro Massenzio. La vanità Provinciale però ha fatto rappresentar questa scena a Treveri, a Besanzone ec. Vedi Tillemont Hist. des Emper. Tom. IV. p. 573.

<p>50</p>

Il pio Tillemont (Mem. Eccles. Tom. VII. p. 1317) rigetta, sospirando gli utili Atti di Artemio, veterano e martire, che attesta come testimone di veduta la visione di Costantino.

<p>51</p>

Gelas. Cizic. Act. Conc. Nicaen. l. I. c. 4.

<p>52</p>

Gli avvocati della visione non possono addurre neppure una sola testimonianza tratta da' Padri del quarto e del quinto secolo, che ne' loro voluminosi scritti celebrano più volte il trionfo della croce e di Costantino. Siccome a questi venerabili uomini non sarebbe dispiaciuto un miracolo, noi possiam sospettare (e tal sospetto vien confermato dall'ignoranza di Girolamo) che essi non fossero informati della vita di Costantino, scritta da Eusebio. Questo tratto si scoprì dalla diligenza di quelli, che tradussero o continuarono la sua Storia Ecclesiastica, e che rappresentarono con diversi colori la visione della croce.

<p>53</p>

Gottofredo fu il primo, che nell'anno 1643 (Not. ad Philostorg. l. I. c. 6 p. 16) mostrò qualche dubbio sopra un miracolo, che con uguale zelo s'era sostenuto e dal Cardinal Baronio e da' Centuriatori di Magdeburgo. Dopo quel tempo molti de' Critici Protestanti hanno inclinato al dubbio e alla diffidenza. Si propongono le obbiezioni con gran forza da Chaufepiè Dictionn. Critiq. T. IV. p. 6-11; e nell'anno 1774 l'Abbate du Voisin, dottor di Sorbona, pubblicò un'apologia, che merita d'essere lodata com'erudita e moderata.

<p>54</p>

Lors Constantin dit ces propres paroles:

J'ai renversé le culte des idoles;

Sur les débris de leurs Temples fumans

Au Dieu du Ciel j'ai prodigué l'encens.

Mais tous mes soins pour sa grandeur suprême

N'eurent jamais d'autre objet que moi-même;

Les saints autels n'étaient à mes regards

Qu'un marchepied du trône des Césars.

L'ambition, la fureur, les délices

Étaient mes Dieux, avoient mes sacrifices.

L'or des Chrétiens, leurs intrigues, leur sang

Ont cimenté ma fortune et mon rang.

Può leggersi con piacere il poema, che contiene questi versi, ma non si può con decenza nominare.