Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 12. Edward Gibbon

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 12 - Edward Gibbon


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e la loro causa, e i prosperi successi ottenuti, per ripartirsi anticipatamente fra loro le province del greco Impero110. Mediante un Trattato, accordaronsi a nominare dodici Elettori, sei per nazione, e a riconoscere Imperator d'Oriente quell'individuo che accoglierebbe in sè un maggior numero di suffragi. Stipularono inoltre i confederati che accadendo parità nel numero de' voti, la sorte deciderebbe fra i due candidati; e concedettero a quello che sarebbe eletto, i titoli e le prerogative de' precedenti Imperatori, i due palagi di Blacherna e di Bucoleone, e la quarta parte di tutti i possedimenti che la monarchia de' Greci formavano. Le tre altre parti divise in due porzioni eguali, vennero tenute da banda per essere divise fra i Veneziani e i Baroni francesi. Fu risoluto che tutti i feudatarj, dai quali, per una distinzione d'onore venne eccettuato il Doge, presterebbero al nuovo Sovrano, omaggio di fedeltà e giuramento di servigio militare, come a Capo supremo dell'Impero; che quella fra le due nazioni cui toccherebbe la sorte di dare all'Oriente un Imperatore, cederebbe all'altra la nomina del Patriarca; che per ultimo tutti i Pellegrini, comunque impazienti fossero di visitar Terra Santa, dovessero consagrare anche un anno a conquistare e difendere le province del greco Impero. Appena impadronitisi di Bisanzo i Latini, un tale Trattato confermarono e misero ad effetto, divenuta prima e più rilevante fra le loro cure l'elezione di un Imperatore. Tutti ecclesiastici erano i sei Elettori francesi: l'Abate di Loces, l'Arcivescovo eletto di Acri in Palestina, e i Vescovi di Soissons, di Troyes, di Halberstadt e di Betlemme; l'ultimo de' quali Prelati gli uffizj di Legato del Papa adempiea. Rispettabili per sapere e per santità del loro carattere, tanto più idonei a tale scelta mostravansi che su di essi non poteva cadere. Fra i primarj ministri dello Stato, vennero creati i sei Elettori Veneti, onde le illustri famiglie de' Querini e de' Contarini, s'inorgogliscono tuttavia di trovare in quell'Assemblea i nomi de' loro antenati. Radunatisi nella cappella del palagio i dodici Elettori, procedettero alla elezione, dopo avere invocato solennemente lo Spirito Santo. Ragioni di rispetto e di gratitudine unirono primieramente i voti di tutti i congregati a favore del Doge. Autore egli stesso di quell'impresa, per tali azioni erasi segnalato, che, a malgrado degli anni e della cecità, poteano renderlo ammirazione ed invidia de' più giovani cavalieri. Ma il Dandolo non mai abbastanza per virtù cittadine lodato, e disdegnando tutto ciò che a personale ambizione si riferiva, fu pago dell'onor de' suffragi, che degno il promulgavano di regnare. I suoi concittadini, e fors'anche i suoi amici si opposero eglino stessi a questa nomina111, facendo coll'eloquenza della verità, manifesti i danni che alla libertà di Venezia e alla causa comune doveano temersi dall'incompatibile collegamento della prima magistratura della Repubblica, e della Sovranità dell'Oriente. L'esclusione del Doge lasciò libero il campo a Bonifazio ed a Baldovino. I meriti di questi due candidati si contrabbilanciavano scambievolmente, ma tanto sovrastavano a quello degli altri, che a questi due cedettero rispettosamente le loro pretensioni. Maturità di anni, splendida rinomanza, l'opinione più generale de' Pellegrini, il voto dei Greci, stavano soprattutto pel Marchese di Monferrato; nè mi è sì agevole il credere che i piccioli possedimenti di questo Principe, posti a piedi dell'Alpi112, dessero inquietudine alla Repubblica di Venezia padrona del mare. Ma il Conte di Fiandra, in età di trentadue anni, valoroso, pio e casto, Capo d'un popolo ricco e bellicoso, discendente da Carlomagno, cugino del Re di Francia, contava fra i suoi Pari, Baroni e Prelati, che avrebbero mal tollerato di sottomettersi all'Impero di uno straniero. Questi Baroni, il Doge, e a capo d'essi il Marchese di Monferrato, stavansi alla porta della cappella, aspettando la risoluzione degli Elettori. Venne finalmente a nome de' suoi colleghi annunziandolo il Vescovo di Soissons. «Voi avete giurato, disse egli, obbedire al Principe che avremmo scelto. Per l'unanimità de' nostri suffragi, Baldovino Conte di Fiandra e di Hainaut, è vostro Sovrano ed Imperator d'Oriente». Il nuovo Monarca venne salutato fra romorose acclamazioni, che la gioia de' Latini e la tremante adulazione de' Greci per tutta la città ripeterono. Primo fu Bonifazio a baciar la mano al rivale e ad innalzarlo sul proprio scudo. Baldovino fu trasportato nella Cattedrale ove solennemente calzò i coturni di porpora. Tre settimane dopo l'elezione, il Legato del Papa che gli uffizj di Patriarca adempiea, lo coronò; ma prestamente s'impadronì del coro di S. Sofia il Clero veneziano, che fu sollecito a porre sul trono ecclesiastico Tommaso Morosini, nè trascurò alcuna diligenza per mantenere alla sua nazione gli onori e i benefizj della Chiesa greca113. Non indugiò il successore di Costantino a far noto per messi, questo memorabile cambiamento politico alla Palestina, alla Francia, a Roma. Le porte di Costantinopoli, le catene del porto vennero, per suo ordine, trasportate in Palestina come trofei114, e dalle Assise di Gerusalemme tolse le leggi e gli statuti, che meglio ad una colonia francese e ad una conquista d'Oriente addicevansi. Sollecitò indi per lettere tutti i Francesi, perchè venissero ad ingrossare questa colonia, a popolare una capitale vasta e magnifica, a coltivare un suolo fertile, e preparato dalla natura a dar largo guiderdone di lor fatiche al Sacerdote e al soldato. Mandò anche congratulazioni al Pontefice di Roma per la sua autorità ristaurata, nell'Oriente, eccitandolo ad estinguere lo scisma dei Greci colla sua presenza medesima ad un generale Concilio, e implorandone l'indulgenza e l'appostolica assoluzione per que' Pellegrini che agli ordini del Capo della Chiesa aveano contravvenuto115. Accorgimento e dignitosi modi la risposta d'Innocenzo contraddistinsero; attribuendo ai vizj degli uomini la sovversione dell'Impero d'Oriente, adorava in ordine a ciò i decreti della Providenza. «I conquistatori, egli dicea, saranno o assoluti o condannati giusta la condotta che terranno in appresso, e la validità del loro parteggiamento è cosa che dal giudizio di S. Pietro dipende». Non dimenticò nel medesimo tempo di prescriver loro, siccome il più sacro de' doveri, quello di mantenere subordinati e tributarj i Greci ai Latini, i Magistrati al Clero, il Clero al Pontefice.

      Nel ripartimento delle province dell'Impero116, la porzione che toccò ai Veneziani trovossi più considerabile di quella dell'Imperatore latino. Ei non possedea che un quarto della conquista. Riserbatasi Venezia una grossa metà del rimanente, l'altra metà tra i venturieri di Francia e di Lombardia venne distribuita. Il venerabile Dandolo, acclamato despota della Romania, fu, giusta l'uso de' Greci, fregiato de' calzaretti di porpora. Ei terminò il corso della sua lunga e gloriosa vita a Costantinopoli; e benchè le prerogative di lui non passassero ai suoi successori, questi ne conservarono nullameno i titoli fino alla metà del secolo decimoquarto, ed aggiugneano l'altro singolarissimo, di Signori di un quarto e mezzo dell'Impero Romano117. Il Doge, schiavo dello Stato, rade volte ottenea la permissione di allontanarsi dalla sede del Governo; ma ne tenea vece in Grecia un Bailo o reggente, insignito d'inappellabile giurisdizione sulla colonia de' Veneziani. Degli otto rioni di Costantinopoli, tre appartenevano a questa colonia; il cui tribunale independente, era composto di sei giudici, quattro cancellieri, due ciamberlani, due avvocati fiscali e un contestabile. Una lunga esperienza sul commercio d'Oriente, gli avea fatti accorti sì, che meglio degli altri poteano provvedere ai loro interessi nel ripartimento; pur commisero una imprudenza nell'accettare il governo e la difesa d'Andrinopoli. Ad ogni modo la saggia politica di questi trafficanti, pensò ad assicurarsi una catena di città, di isole e di fattorie, lungo la costa marittima, che dai dintorni di Ragusi fino all'Ellesponto e al Bosforo si estendea. I dispendiosi lavori che a mantenere tali conquiste volevansi, avendo impoverito il veneto erario, abbiurarono le antiche massime del lor governo, adattandosi ad un feudale sistema, e concedendo, contenti di un semplice omaggio, ai Nobili118 il possedimento di que' paesi, che questi imprendeano a conquistare, o a difendere. In cotal guisa, la famiglia di Sanuto divenne padrona del Ducato di Nasso, che tenea la massima parte dell'Arcipelago. Mediante uno sborso di diecimila marchi, la Repubblica comperò dal Marchese di Monferrato, la fertile isola di Creta, o Candia, e le rovine di cento città119. Ma i meschini concepimenti di un'orgogliosa aristocrazia120, non permisero trar grande profitto da tali acquisti; onde i più giudiziosi fra i Senatori dichiararono non per possedute terre, ma per l'Impero del mare il tesoro di S. Marco impinguarsi. Sulla metà da ripartirsi fra i venturieri, il Marchese di Monferrato, fuor d'ogni dubbio, alla maggior ricompensa aveva dritto. Oltre alla cedutagli isola di Creta, per


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<p>110</p>

V. l'originale del Trattato di parteggiamento nella Cronaca di Andrea Dandolo, p. 328-330, e la elezione che ne conseguì, nel Villehardouin (n. 136-140), le Osservazioni del Ducange e il primo libro della Storia di Costantinopoli sotto l'impero de' Francesi.

<p>111</p>

Dopo aver parlato di un Elettore francese che avea dato il suo voto al Doge, Andrea Dandolo parente dello stesso Doge ne trova ragionevole l'esclusione. Quidam venetorum, fidelis et nobilis senex usus oratione satis probabili, etc., Orazione che gli scrittori moderni dal Biondi al Le Beau hanno accomodata ciascuno a lor fantasia.

<p>112</p>

Niceta, p. 384, vano e ignorante, quanto un Greco di que' tempi doveva esserlo, indica il Marchese di Monferrato come Capo di una potenza maritima λαμπαρδιαν δε οικεισθαι παραλιον, abitava (o governava) la Lombardia marittima. Forse lo ha indotto in errore il tema bisantino della Lombardia situata sulle coste della Calabria.

<p>113</p>

I Veneziani pretesero che il Morosini si obbligasse con giuramento a non ammettere nel capitolo di S. Sofia, cui spettava il diritto delle elezioni, altri individui fuor de' Veneziani, e di quelli inoltre che avessero abitato dieci anni in Venezia. Ma ingelosito il Clero della prerogativa che questi arrogavansi, il Papa non la confermò, onde fra sei patriarchi Latini che ebbe Costantinopoli, solamente il primo e l'ultimo furono Veneziani.

<p>114</p>

Niceta p. 383.

<p>115</p>

Le lettere d'Innocenzo III somministrano ricchi materiali alla Storia delle istituzioni civili ecclesiastiche dell'impero Latino di Costantinopoli. La più importante di tali lettere (delle quali Stefano Baluzio ha pubblicata la raccolta in due volumi in folio) trovasi nell'opera, Gesta script. rer. ital., Muratori, t. III, part. I, c. 94-105.

<p>116</p>

Nel Trattato di parteggiamento hanno alterati quasi tutti i nomi proprj. Non sarebbero difficili le correzioni, e una buona Carta corrispondente all'ultimo secolo dell'Impero di Bisanzo sarebbe di grande soccorso alla geografia; ma sfortunatamente d'Anville più non vive.

<p>117</p>

Il loro stile d'intitolarsi era Dominus quartae partis et dimidiae imperii romani, e così continuarono fino all'anno 1356, in cui Giovanni Dolfino fu eletto Doge (Sanut., p. 430-641). Quanto al governo di Costantinopoli, V. Ducange, Hist. C. P. 1-37.

<p>118</p>

Il Ducange (Hist. C. P. 11, 6) ha enumerate le conquiste fatte dalla Repubblica o dai Nobili veneziani, le isole di Candia, di Corfù, Cefalonia, Zante, Nasso, Paro, Melos, Andros, Micone, Siro, Ceos e Lemno.

<p>119</p>

Bonifazio vendè l'isola di Candia ai 12 agosto dell'anno 1204. V. la transazione in Sanuto p. 533; ma non so comprendere come quest'Isola fosse il patrimonio della madre di Bonifazio, o come questa madre esser potesse la figlia d'un Imperatore di nome Alessio.

<p>120</p>

Nel 1212, il Doge Pietro Zani inviò nell'isola di Candia una colonia tolta dai differenti rioni di Venezia: ma i nativi Candiotti, per la salvatichezza de' lor costumi, e per le frequenti ribellioni, poteano essere paragonati ai Corsi sotto il dominio de' Genovesi; e allorchè io metto in paragone i racconti del Belon, e quelli del Tournefort, non ravviso molte differenze tra la Candia de' Veneziani, e la Candia de' Turchi.