Orlando Furioso. Lodovico Ariosto

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Orlando Furioso - Lodovico Ariosto


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indi a levarse,

      come suol far la peregrina grue,

      che corre prima, e poi vediamo alzarse

      alla terra vicina un braccio o due;

      e quando tutte sono all'aria sparse,

      velocissime mostra l'ale sue.

      Sì ad alto il negromante batte l'ale,

      ch'a tanta altezza a pena aquila sale.

50

      Quando gli parve poi, volse il destriero,

      che chiuse i vanni e venne a terra a piombo,

      come casca dal ciel falcon maniero

      che levar veggia l'anitra o il colombo.

      Con la lancia arrestata il cavalliero

      l'aria fendendo vien d'orribil rombo.

      Gradasso a pena del calar s'avede,

      che se lo sente addosso e che lo fiede.

51

      Sopra Gradasso il mago l'asta roppe;

      ferì Gradasso il vento e l'aria vana:

      per questo il volator non interroppe

      il batter l'ale, e quindi s'allontana.

      Il grave scontro fa chinar le groppe

      sul verde prato alla gagliarda alfana.

      Gradasso avea una alfana, la più bella

      e la miglior che mai portasse sella.

52

      Sin alle stelle il volator trascorse;

      indi girossi e tornò in fretta al basso,

      e percosse Ruggier che non s'accorse,

      Ruggier che tutto intento era a Gradasso.

      Ruggier del grave colpo si distorse,

      e 'l suo destrier più rinculò d'un passo;

      e quando si voltò per lui ferire,

      da sé lontano il vide al ciel salire.

53

      Or su Gradasso, or su Ruggier percote

      ne la fronte, nel petto e ne la schiena,

      e le botte di quei lascia ognor vote,

      perché è sì presto, che si vede a pena.

      Girando va con spaziose rote,

      e quando all'uno accenna, all'altro mena:

      all'uno e all'altro sì gli occhi abbarbaglia,

      che non ponno veder donde gli assaglia.

54

      Fra duo guerrieri in terra ed uno in cielo

      la battaglia durò sino a quella ora,

      che spiegando pel mondo oscuro velo,

      tutte le belle cose discolora.

      Fu quel ch'io dico, e non v'aggiungo un pelo:

      io 'l vidi, i' 'l so: né m'assicuro ancora

      di dirlo altrui; che questa maraviglia

      al falso più ch'al ver si rassimiglia.

55

      D'un bel drappo di seta avea coperto

      lo scudo in braccio il cavallier celeste.

      Come avesse, non so, tanto sofferto

      di tenerlo nascosto in quella veste;

      ch'immantinente che lo mostra aperto,

      forza è, ch'il mira, abbarbagliato reste,

      e cada come corpo morto cade,

      e venga al negromante in potestade.

56

      Splende lo scudo a guisa di piropo,

      e luce altra non è tanto lucente.

      Cadere in terra allo splendor fu d'uopo

      con gli occhi abbacinati, e senza mente.

      Perdei da lungi anch'io li sensi, e dopo

      gran spazio mi riebbi finalmente;

      né più i guerrier né più vidi quel nano,

      ma vòto il campo, e scuro il monte e il piano.

57

      Pensai per questo che l'incantatore

      avesse amendui colti a un tratto insieme,

      e tolto per virtù de lo splendore

      la libertade a loro, e a me la speme.

      Così a quel loco, che chiudea il mio core,

      dissi, partendo, le parole estreme.

      Or giudicate s'altra pena ria,

      che causi Amor, può pareggiar la mia. —

58

      Ritornò il cavallier nel primo duolo,

      fatta che n'ebbe la cagion palese.

      Questo era il conte Pinabel, figliuolo

      d'Anselmo d'Altaripa, maganzese;

      che tra sua gente scelerata, solo

      leale esser non volse né cortese,

      ma ne li vizi abominandi e brutti

      non pur gli altri adeguò, ma passò tutti.

59

      La bella donna con diverso aspetto

      stette ascoltando il Maganzese cheta;

      che come prima di Ruggier fu detto,

      nel viso si mostrò più che mai lieta:

      ma quando sentì poi ch'era in distretto,

      turbossi tutta d'amorosa pieta;

      né per una o due volte contentosse

      che ritornato a replicar le fosse.

60

      E poi ch'al fin le parve esserne chiara,

      gli disse: – Cavallier, datti riposo,

      che ben può la mia giunta esserti cara,

      parerti questo giorno aventuroso.

      Andiam pur tosto a quella stanza avara,

      che sì ricco tesor ci tiene ascoso;

      né spesa sarà invan questa fatica,

      se fortuna non m'è troppo nemica. —

61

      Rispose il cavallier: – Tu vòi ch'io passi

      di nuovo i monti, e mostriti la via?

      A me molto non è perdere i passi,

      perduta avendo ogni altra cosa mia;

      ma tu per balze e ruinosi sassi

      cerchi entrar in pregione; e così sia.

      Non hai di che dolerti di me, poi

      ch'io tel predico, e tu pur gir vi vòi. —

62

      Così dice egli, e torna al suo destriero,

      e di quella animosa si fa guida,

      che si mette a periglio per Ruggiero,

      che la pigli quel mago o che la ancida.

      In questo, ecco alle spalle il messaggero,

      ch': – Aspetta, aspetta! – a tutta voce grida,

      il messagger da chi il Circasso intese

      che costei fu ch'all'erba lo distese.

63

      A Bradamante il messagger novella

      di Mompolier e di Narbona porta,

      ch'alzato gli stendardi di Castella

      avean,


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