Orlando Furioso. Lodovico Ariosto

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Orlando Furioso - Lodovico Ariosto


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come i begli occhi prima torse,

      d'un cavallier la giovane s'accorse;

35

      d'un cavallier, ch'all'ombra d'un boschetto,

      nel margin verde e bianco e rosso e giallo

      sedea pensoso, tacito e soletto

      sopra quel chiaro e liquido cristallo.

      Lo scudo non lontan pende e l'elmetto

      dal faggio, ove legato era il cavallo;

      ed avea gli occhi molli e 'l viso basso,

      e si mostrava addolorato e lasso.

36

      Questo disir, ch'a tutti sta nel core,

      de' fatti altrui sempre cercar novella,

      fece a quel cavallier del suo dolore

      la cagion domandar da la donzella.

      Egli l'aperse e tutta mostrò fuore,

      dal cortese parlar mosso di quella,

      e dal sembiante altier, ch'al primo sguardo

      gli sembrò di guerrier molto gagliardo.

37

      E cominciò: – Signor, io conducea

      pedoni e cavallieri, e venìa in campo

      là dove Carlo Marsilio attendea,

      perch'al scender del monte avesse inciampo;

      e una giovane bella meco avea,

      del cui fervido amor nel petto avampo:

      e ritrovai presso a Rodonna armato

      un che frenava un gran destriero alato.

38

      Tosto che 'l ladro, o sia mortale, o sia

      una de l'infernali anime orrende,

      vede la bella e cara donna mia;

      come falcon che per ferir discende,

      cala e poggia in un atimo, e tra via

      getta le mani, e lei smarrita prende.

      Ancor non m'era accorto de l'assalto,

      che de la donna io senti' il grido in alto.

39

      Così il rapace nibio furar suole

      il misero pulcin presso alla chioccia,

      che di sua inavvertenza poi si duole,

      e invan gli grida, e invan dietro gli croccia.

      Io non posso seguir un uom che vole,

      chiuso tra' monti, a piè d'un'erta roccia:

      stanco ho il destrier, che muta a pena i passi

      ne l'aspre vie de' faticosi sassi.

40

      Ma, come quel che men curato avrei

      vedermi trar di mezzo il petto il core,

      lasciai lor via seguir quegli altri miei,

      senza mia guida e senza alcun rettore:

      per li scoscesi poggi e manco rei

      presi la via che mi mostrava Amore,

      e dove mi parea che quel rapace

      portassi il mio conforto e la mia pace.

41

      Sei giorni me n'andai matina e sera

      per balze e per pendici orride e strane,

      dove non via, dove sentier non era,

      dove né segno di vestigie umane;

      poi giunsi in una valle inculta e fiera,

      di ripe cinta e spaventose tane,

      che nel mezzo s'un sasso avea un castello

      forte e ben posto, a maraviglia bello.

42

      Da lungi par che come fiamma lustri,

      né sia di terra cotta, né di marmi.

      Come più m'avicino ai muri illustri,

      l'opra più bella e più mirabil parmi.

      E seppi poi, come i demoni industri,

      da suffumigi tratti e sacri carmi,

      tutto d'acciaio avean cinto il bel loco,

      temprato all'onda ed allo stigio foco.

43

      Di sì forbito acciar luce ogni torre,

      che non vi può né ruggine né macchia.

      Tutto il paese giorno e notte scorre,

      e poi là dentro il rio ladron s'immacchia.

      Cosa non ha ripar che voglia torre:

      sol dietro invan se li bestemia e gracchia.

      Quivi la donna, anzi il mio cor mi tiene,

      che di mai ricovrar lascio ogni spene.

44

      Ah lasso! che poss'io più che mirare

      la rocca lungi, ove il mio ben m'è chiuso?

      come la volpe, che 'l figlio gridare

      nel nido oda de l'aquila di giuso,

      s'aggira intorno, e non sa che si fare,

      poi che l'ali non ha da gir là suso.

      Erto è quel sasso sì, tale è il castello,

      che non vi può salir chi non è augello.

45

      Mentre io tardava quivi, ecco venire

      duo cavallier ch'avean per guida un nano,

      che la speranza aggiunsero al desire;

      ma ben fu la speranza e il desir vano.

      Ambi erano guerrier di sommo ardire:

      era Gradasso l'un, re sericano;

      era l'altro Ruggier, giovene forte,

      pregiato assai ne l'africana corte.

46

      – Vengon (mi disse il nano) per far pruova

      di lor virtù col sir di quel castello,

      che per via strana, inusitata e nuova

      cavalca armato il quadrupede augello. —

      – Deh, signor (diss'io lor), pietà vi muova

      del duro caso mio spietato e fello!

      Quando, come ho speranza, voi vinciate,

      vi prego la mia donna mi rendiate. —

47

      E come mi fu tolta lor narrai,

      con lacrime affermando il dolor mio.

      Quei, lor mercé, mi proferiro assai,

      e giù calaro il poggio alpestre e rio.

      Di lontan la battaglia io riguardai,

      pregando per la lor vittoria Dio.

      Era sotto il castel tanto di piano,

      quanto in due volte si può trar con mano.

48

      Poi che fur giunti a piè de l'alta rocca,

      l'uno e l'altro volea combatter prima;

      pur a Gradasso, o fosse sorte, tocca,

      o pur che non ne fe' Ruggier più stima.

      Quel Serican si pone il corno a bocca:

      rimbomba il sasso e la fortezza in cima.

      Ecco apparire il cavalliero armato

      fuor de la porta, e sul cavallo alato.

49

      Cominciò


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