La Casa Sulla Chiusa. Andrea Calo'

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La Casa Sulla Chiusa - Andrea Calo'


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si sentiva parlare anche in tedesco, in inglese e in spagnolo. Nessun italiano era presente, o quantomeno nessuno che stesse parlando in quel momento. Tuttavia, nessuno dei presenti mostrava lineamenti del viso tipicamente italiani. Passavano davvero molto vicino a noi e si potevano vedere bene, fino quasi a rilevarne i difetti della pelle. Noi osservavamo la barca galleggiare mentre trasportava l’allegra comitiva. Non emetteva rumori assordanti per via dei motori in azione. Dava l’impressione di scivolare sull’acqua, come sospinta dalla sola forza dell’aria. Dai finestrini della nostra auto, che avevamo opportunamente spento per ammirare e immortalare la scena, entravano il suono delle risate delle persone, i loro discorsi e la sinfonia del canto degli uccellini che popolavano lo spazio aperto alla destra della carreggiata. Su questo lato, un’immensa distesa verde ricopriva tutto il campo a noi visibile. Era come incorniciato da colline di un verde più scuro e intenso che sembravano essere state messe lì proprio per non svelare subito le bellezze che si dispiegavano dietro di esse.

      Â«E’ tutto così incredibile qui!», disse Sonia con una voce carica di gioia e palpabile eccitazione, con gli occhi che brillavano di quella luce che non percepivo da qualche tempo con eguale intensità «Sembra un altro mondo! Sembra quasi che imboccando quella strada si sia oltrepassata la linea di confine che divide ciò che è reale da ciò che invece è mero frutto dei sogni. E’ indescrivibile, sono felice!», concluse.

      Â«E’ tutto così vero ma è anche così incredibile al tempo stesso! I colori, i suoni, i profumi e le immagini. Tutto sembra avere un suo spazio, una posizione tanto precisa che, se modificata da un profano, farebbe percepire l’oggetto isolato come “fuori posto”. Tutto è parte del quadro che in questo momento stiamo osservando e sembra portare la firma del suo autore, di un’entità superiore ed esperta, non si percepisce modo alcuno per migliorare quanto agli occhi appare già perfetto fin dall’inizio. Sono felice anch’io!».

      Girai la chiave per riaccendere l’auto e con un sorriso la invitai a proseguire verso la nostra meta ormai prossima, la casa sulla chiusa 34s. Mentre avanzavamo, gli alberi dietro di noi chiudevano il tunnel sulla strada come fossero i tendoni di un sipario teatrale alla conclusione dell’opera.

      CAPITOLO 2

      La gente dice: “È matto”.

      Oppure: “Vive in un mondo di fantasia”.

      O ancora: “Come può confidare in cose prive di logica?”.

      Ma il guerriero continua ad ascoltare il vento

      e a parlare con le stelle.

      [Paulo Coelho - Manuale del guerriero della luce]

      La casa era piccola, con i muri costruiti in pietra viva. Il tetto mostrava una notevole pendenza su entrambe le facciate della casa. Era necessaria per favorire lo scarico delle nevi durante il periodo invernale, evitando la formazione di pesanti lastre di ghiaccio pericolose per la struttura di travi di legno visibili anche all’interno delle stanze. I proprietari di casa e custodi della chiusa si chiamavano Urs e Doris, una coppia molto affiatata. Avevano diviso la casa in due parti, una più ampia a loro riservata, l’altra ceduta in affitto ai turisti come alloggio per le vacanze. Nella sua semplicità la casa aveva tutto quanto potesse servire: un salotto con angolo cottura, un cucinino ben attrezzato e magnificamente fornito delle necessarie stoviglie, pentolame e posate in quantità, un comodo divano, un bagno privato molto raccolto ma con ampia doccia. La zona notte soppalcata sfruttava la parte più alta della struttura. Vi si accedeva tramite una robusta scala interna. Era disponibile ogni sorta di elettrodomestico, utile o meno, c’erano una radio, la televisione satellitare, persino la connessione ad Internet senza fili. Tutto questo sembrava quasi fuori luogo in una contestualizzazione all’apparenza tanto semplice, rurale, naturale e minimalista. Non potevo non apprezzare tutte queste comodità ormai entrate prepotentemente a far parte della mia vita di uomo di città, feci comunque promessa a me stesso di limitarne l’uso al minimo indispensabile. Eravamo alla ricerca di tranquillità assoluta, del distacco dal superfluo, dell’immersione nella natura. Non volevamo di certo consumare del tempo prezioso ripetendo le azioni della caotica vita di tutti i giorni. All’esterno la casa non era circondata da fiori o piante tipiche dei giardini preziosi. Era al contrario tinteggiata da chiazze di colore delicato, donato da fiori e arbusti spontanei, dai papaveri rossi e altri eleganti fiori di un colore arancio intenso, dalle campanule bianche e viola arrampicate sui muri o cosparse sul terreno, così belle e fitte che ci si obbligava a porre attenzione per non calpestarle mentre si camminava. C’erano erbe e arbusti che io avrei sicuramente rimosso se nati nel giardino della mia casa in città, perché non adatti o non belli se guardati con uno sguardo superficiale. Questi fiori dalla forma unica mostravano venature e sfumature di colore sui soffici petali, vellutati al tatto. E il loro dinamismo, il modo in cui oscillavano consegnandosi all’aria per via del loro lungo stelo, li faceva sembrare ballerini istruiti da un grande maestro. Tutto questo ci affascinava, catturandoci in una sorta d’incantesimo, d’ipnosi. Perché ciò avveniva solo lì e in quel momento? Ne ho viste tante di campanule e di papaveri fioriti nella mia vita, perché non ho mai fatto caso a quanto fossero belli, delicati ed eleganti? Realizzai la mia profonda superficialità e in parte mi rattristai. Su un angolo della casa si sviluppava invece una stupenda rosa dal colore rosso intenso, aveva petali soffici come il velluto più pregiato e rilasciava un profumo che avvolgeva completamente, annientando i sensi. Avevamo a disposizione due biciclette, fondamentali per muoversi nei dintorni senza dover usare l’automobile.

      Dopo aver condiviso con noi alcune informazioni sulla zona e i relativi luoghi d’interesse, Urs e Doris ci lasciarono sistemare, salutandoci con l’invito per un aperitivo di benvenuto da consumarsi nell’imminente pomeriggio. Il silenzio intorno a noi era palpabile, un silenzio quasi fastidioso, direttamente percepito dall’orecchio e al quale non eravamo abituati. Guardai mia moglie e la invitai ad ascoltare. Si sentiva l’immancabile cinguettio degli uccelli sempre numerosi e di diverse specie, lo scroscio delicato dell’acqua nella chiusa alle nostre spalle, mantenuto per tenere sotto controllo il livello del canale, il saluto ricambiato dei proprietari ai passanti con il sottofondo delle foglie degli alberi mosse dall’aria.

      Sul canale si trovano molte chiuse, una per ogni salto di livello dell’acqua, generalmente di qualche metro. Per ogni chiusa esiste una casa, abitata da un custode che ha il compito di aprire e chiudere la chiusa al passaggio di ogni chiatta sul canale. Le operazioni di apertura e chiusura sono eseguite a tutt’oggi in modo manuale, con gli stessi movimenti sopravvissuti al trascorrere del tempo per arrivare fino ai giorni nostri. Una chiusa è formata da una vasca a tenuta stagna, lunga ma molto stretta rispetto alla larghezza del canale stesso, realizzata come scavo nel terreno con blocchi in pietra posti a rinforzo degli argini terrosi, altrimenti soggetti a erosione al contatto con l’acqua. Il livello dell’acqua all’interno della vasca è aumentato o diminuito per consentire alle chiatte di transitarvi e per essere alzate o abbassate, portandole al livello desiderato uguale a quello della parte di canale in risalita o discesa da raggiungere. I passeggeri sulle chiatte sembrano sempre molto attenti e osservatori durante l’esecuzione di queste manovre, quasi fossero loro stessi a doverle eseguirle di persona. Nonostante i tentativi del governo francese atti ad automatizzare questi sistemi, il canale e le persone che su di esso lavorano hanno sempre cercato, con successo, di mantenere questa manualità che è tutt’oggi molto apprezzata e ammirata dai turisti.

      Urs e Doris ci chiamarono per l’aperitivo, invitandoci a unirci a loro al tavolo affacciato sulla chiusa. Da quel punto si godeva una vista stupenda, lo sguardo poteva liberamente distendersi sul canale, ubriacando con i suoi vivaci colori, sui riflessi carichi di dettagli degli alberi che dipingevano lo specchio d’acqua, sui fiori e sugli arbusti che popolavano le sponde. Famigliole di papere nuotavano in fila, a volte zigzagando, sul pelo libero dell’acqua. Non era raro vedere queste famigliole dirigersi verso i bordi del canale al transito delle chiatte, per poi attenderne il passaggio e riposizionarsi in coda a queste e continuare il percorso. Il canale ospita


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