Il Giuramento. Джек Марс

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Il Giuramento - Джек Марс


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padre gli scompigliò i capelli. “Mostriciattolo, di certo spero di no. Adesso che dici? Andiamo a prendere qualche persico spigola.”

*

      Ore dopo, la presidente non aveva ancora chiamato.

      Luke e Gunner avevano preso tre bei persici spigola, e Luke mostrò a Gunner come eviscerarli, pulirli e tagliarli in filetti. Non era una novità, ma è con la ripetizione che si apprende. Si era aggiunta anche Becca, che aveva portato una bottiglia di vino sul patio e un piatto di formaggio e cracker sulla tavola.

      Luke stava accendendo la griglia quando suonò il telefono.

      Guardò la sua famiglia. Erano raggelati al primo squillo. Lui e Becca si scambiarono uno sguardo. Lui non riusciva più a leggere i suoi occhi. Qualunque cosa dicessero, non si trattava di un sostegno. Rispose al telefono.

      Una voce profonda, di uomo: “Agente Stone?”

      “Sì.”

      “La prego di attendere in linea la presidente degli Stati Uniti.”

      Rimase lì ottuso, ad ascoltare il vuoto.

      Si sentì un click e arrivò lei. “Luke?”

      “Susan.”

      La mente gli ritornò un’immagine della donna, a guidare tutto il Paese, e la maggior parte del mondo, cantando “God Bless America.” Era stato un momento fantastico, ma era tutto ciò che era – un momento. Ed era il tipo di cosa che i politici erano bravi a fare. Era praticamente un trucchetto da salotto.

      “Luke, abbiamo per le mani una crisi.”

      “Susan, abbiamo sempre una crisi per le mani.”

      “In questo momento ci sono dentro fino al collo.”

      Ottimo. Era da un po’ che non sentiva un’espressione del genere.

      “Faremo una riunione. Qui a casa. Ho bisogno che venga anche lei.”

      “Quand’è la riunione?”

      Non esitò. “Tra un’ora.”

      “Susan, con il traffico sono a due ore di distanza. In una giornata buona. Adesso la metà delle strade è ancora chiusa.”

      “Non se ne starà in mezzo al traffico. Sta arrivando un elicottero. Sarà lì tra quattordici minuti.”

      Luke guardò di nuovo la sua famiglia. Becca si era versata un bicchiere di vino e sedeva dandogli le spalle, fissando il sole del tardo pomeriggio che affondava nell’acqua. Gunner fissava il pesce sulla griglia.

      “Okay,” disse Luke al telefono.

      CAPITOLO SEI

      18:45

      Osservatorio navale degli Stati Uniti – Washington, DC

      “Agente Stone, io sono Richard Monk, il capo dello staff della presidente. Abbiamo parlato al telefono, prima.”

      Luke era sceso sull’elisuperficie dell’osservatorio navale da cinque minuti. Strinse la mano del tizio alto e in forma di poco meno di quarant’anni, probabilmente dell’età sua. L’uomo indossava una camicia azzurra con le maniche arrotolate sugli avambracci. La cravatta pendeva sbilenca. La parte alta del corpo era rigorosamente muscolosa, come in una pubblicità di Men’s Health. Lavorava duro e giocava duro – questo diceva il look di Richard Monk a chiunque avesse voglia prestare orecchio.

      Percorsero il corridoio di marmo della Nuova Casa Bianca verso le ampie porte doppie in fondo. “Abbiamo adattato la nostra vecchia sala conferenze a sala operativa,” disse Monk. “Ci stiamo ancora lavorando, ma ce la faremo.”

      “È fortunato a essere vivo, vero?” disse Luke.

      La maschera di sicurezza sul viso dell’uomo vacillò, solo per un secondo. Annuì. “Io e la vice… Be’, all’epoca era vicepresidente. Io e la presidente e parte dello staff eravamo sulla costa occidentale quando il presidente Hayes l’ha riconvocata all’est. È stato molto improvviso. Io sono rimasto indietro, a Seattle, con pochi altri per mettere a posto le cose. Quando è accaduto quel che è accaduto a Mount Weather…”

      Scosse la testa. “È troppo orribile. Però sì, avrei potuto rimanerci anch’io.”

      Luke annuì. Giorni dopo il disastro stavano ancora estraendo corpi da Mount Weather. Trecento finora, e sarebbero aumentati. Tra di loro c’erano l’ex segretario di Stato, l’ex segretario dell’educazione, l’ex segretario degli interni, il capo della NASA e dozzine di altri rappresentanti e senatori degli Stati Uniti.

      I vigili del fuoco avevano spento l’incendio sotterraneo principale solo ieri.

      “Qual è la crisi per cui Susan mi ha fatto venire qui?” disse Luke.

      Monk fece un cenno in direzione della fine del corridoio. “Ah, la presidente Hopkins è nella sala conferenze, insieme ad alcuni membri chiave dello staff. Penso che lascerò che siano loro a dirle che sta accadendo.”

      Superarono le doppie porte ed entrarono nella stanza. Erano già sedute a una grande tavola ovale più di una dozzina di persone. Susan Hopkins, la presidente degli Stati Uniti, sedeva nel punto più lontano dalla porta. Era piccola, quasi dimessa, circondata da grossi uomini. Due agenti dei servizi segreti le stavano accanto, da una parte e dall’altra, in piedi. Altri tre erano in vari angoli della stanza.

      Un uomo dall’aria nervosa era in piedi in testa al tavolo. Era alto, con una calvizie incipiente, un po’ grasso, portava gli occhiali e un completo della taglia sbagliata. Luke lo valutò in un paio di secondi. Quella non era la sua sede normale, e credeva di essere in guai seri. Sembrava che lo avessero già torchiato in tutti i modi.

      Susan si alzò. “Prima di cominciare, voglio presentare a tutti l’agente Luke Stone, ex membro dello Special Response Team dell’FBI. Qualche giorno fa mi ha salvato la vita, ed è stato determinante per salvare la Repubblica per come la conosciamo. Non sto esagerando. Non credo di aver mai conosciuto prima un agente tanto preparato, esperto e coraggioso di fronte alle avversità. È un vanto per la nostra nazione, per le nostre forze armate e per la nostra intelligence il fatto che identifichiamo e addestriamo uomini e donne come l’agente Stone.”

      Ora si alzarono tutti per applaudire. Alle orecchie di Luke l’applauso sembrava artefatto e formale. Queste persone dovevano applaudire. La presidente voleva che lo facessero. Alzò la mano, cercando di farle smettere. La situazione era assurda.

      “Salve,” disse quando l’applauso terminò. “Scusate il ritardo.”

      Luke sedette su un posto vuoto. L’uomo in piedi lo fissò direttamente. Adesso Luke non sapeva che cosa ci fosse in quegli occhi. Speranza? Forse. Sembrava un quarterback disperato sul punto di lanciargli addosso un Ave Maria.

      “Luke,” disse Susan. “Questo è il dottor Wesley Drinan, direttore del Galveston National Laboratory all’università del Texas, medicina. Ci aggiornerà su una possibile violazione della sicurezza avvenuta al livello 4 di biosicurezza.”

      “Ah,” disse Luke. “Benissimo.”

      “Agente Stone, se ne intende di laboratori al livello 4 di biosicurezza?”

      “Mi chiami pure Luke,” disse. “Li ho sentiti nominare. Magari mi può spiegare tutto velocemente, comunque.”

      Drinan annuì. “Ma certo. Le faccio la presentazione di trenta secondi. I laboratori BSL-4 sono il più alto livello di sicurezza quando si trattano agenti biologici. Il BSL-4 è il livello richiesto per lavorare con virus e batteri pericolosi ed esotici che comportano un alto rischio di infezioni contratte in laboratorio, così come di quelle che causano malattie gravi e/o mortali negli esseri umani. Queste sono malattie per cui al momento non sono disponibili né vaccini né altri trattamenti. In generale sto parlando di ebola, margur e altri virus emorragici emergenti che stiamo scoprendo nelle regioni profonde dell’Africa e del Sudamerica. A volte ci occupiamo anche di virus dell’influenza mutati finché non capiamo i loro meccanismi di trasmissione, indici di infezione, indici di mortalità, etc.”

      “Okay,”


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