Il Giuramento. Джек Марс

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Il Giuramento - Джек Марс


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ma non prenderò più nessun incarico. Ho fatto la mia parte. Adesso ho finito.”

      Lei scosse la testa, ma appena appena. Era come se non avesse neanche l’energia di muoversi. “Me l’hai già detto in passato.”

      “Sì. Ma questa volta dico sul serio.”

*

      “Tieni sempre la barca in equilibrio.”

      “Okay,” disse Gunner.

      Lui e il padre caricavano l’attrezzatura. Gunner indossava i jeans, una t-shirt e un grande e floscio cappello da pescatore per ripararsi il viso dal sole. Aveva anche un paio di occhiali da sole Oakley che gli aveva dato il padre perché erano fighi. Suo padre ne indossava un paio identico.

      La t-shirt andava bene – era di 28 giorni dopo, un filmetto carino di zombie con gli inglesi. Il problema della maglietta era che non aveva veri e propri zombie disegnati sopra. C’era solo il simbolo rosso del rischio biologico su sfondo nero. Immaginò che avesse senso. Gli zombie del film non erano davvero dei non-morti. Erano persone infettate da un virus.

      “Metti di traverso il frigo portatile,” gli disse il padre.

      Suo padre conosceva tutte queste parole strane che usava ogni volta che andavano a pescare. A volte facevano ridere Gunner. “Di traverso!” urlò. “Signorsì, capitano.”

      Suo padre spostò la mano per mostrargli dove voleva che lo mettesse; nel mezzo, di lato, non vicino al parapetto posteriore dove Gunner l’aveva invece messo. Gunner fece scivolare il grosso frigo azzurro al suo posto.

      Rimasero lì, a fissarsi l’uno con l’altro. Suo padre gli rivolse un’occhiata buffa da dietro gli occhiali. “Come stai, figliolo?”

      Gunner esitò. Sapeva che era preoccupato per lui. L’aveva sentito sussurrare il suo nome, la notte precedente. Ma stava bene. Davvero. Era stato spaventato, ed era ancora un po’ spaventato. Aveva anche pianto molto, il che andava bene. Si doveva piangere, ogni tanto. Non si doveva tenere tutto dentro.

      “Gunner?”

      Be’, poteva anche parlarne.

      “Papà, a volte tu uccidi persone, vero?”

      Suo padre annuì. “A volte lo faccio, sì. Fa parte del mio lavoro. Ma uccido solo i cattivi.”

      “Come fai a sapere che sono cattivi?”

      “A volte è difficile capirlo. E a volte è facile. I cattivi fanno male alle persone che sono più deboli, oppure a persone innocenti che pensano solo ai fatti loro. Il mio lavoro consiste nell’impedir loro di farlo.”

      “Come gli uomini che hanno ucciso il presidente?”

      Il padre annuì.

      “Li hai uccisi?”

      “Ne ho uccisi alcuni, sì.”

      “E quelli che hanno rapito me e la mamma? Hai ucciso anche loro, vero?”

      “Sì, li ho uccisi.”

      “Sono contento che tu l’abbia fatto, papà.”

      “Anch’io, mostriciattolo. Erano proprio il tipo di uomini che è giusto uccidere.”

      “Sei tu il miglior killer del mondo?”

      Suo padre scosse la testa e sorrise. “Non lo so, campione. Non credo che ci diano punti. Non è uno sport. Non c’è un campione mondiale dell’omicidio. In ogni caso, non lo farò più. Voglio trascorrere più tempo con te e con la mamma.”

      Gunner ci pensò su. In tv aveva visto un notiziario su suo padre, il giorno prima. Era un servizio molto breve, ma c’erano la foto e il nome del padre, e un video di quando era più giovane e stava nell’esercito. Luke Stone, agente della Delta Force. Luke Stone, Special Response Team dell’FBI. Luke Stone e la sua squadra hanno salvato il governo degli Stati Uniti.

      “Sono orgoglioso di te, papà. Anche se non sarai mai il campione mondiale.”

      Suo padre rise. Fece un cenno in direzione del molo. “Okay; siamo pronti?”

      Gunner annuì.

      “Andiamo al largo, buttiamo l’ancora, vediamo se troviamo un po’ di persici spigola sulla bassa marea.”

      Gunner annuì. Si allontanarono dal molo per spostarsi lentamente attraverso la zona in cui si doveva procedere a velocità ridottissima. Si preparò quando la barca prese velocità.

      Gunner scrutava l’orizzonte davanti a loro. Era l’osservatore, e doveva tenere gli occhi bene aperti, come a suo padre piaceva dire. Erano usciti a pesca insieme tre volte quella primavera, ma non avevano preso niente. Quando si andava a pescare e non si prendeva niente, papà diceva che erano “in magra”. Adesso erano decisamente in magra.

      Poco dopo Gunner vide degli spruzzi a mezza via del fianco di tribordo. C’erano delle sterne che si tuffavano, gettandosi in acqua come bombe.

      “Ehi, guarda!”

      Il padre annuì e sorrise.

      “Persici spigola?”

      Il padre scosse la testa. “Pesce serra.” E poi disse, “Aspetta.”

      Accelerò e poco dopo schiumavano, correvano, sempre prendendo velocità, mentre la barca si metteva in piano e Gunner quasi veniva buttato all’indietro. Un attimo dopo andavano con calma per la forte rapida, la barca si immerse e si risistemarono sulle lunghe onde.

      Gunner afferrò due lunghe canne da pesca con uncini singoli. Ne porse una al padre e poi lanciò la sua senza aspettare. Quasi istantaneamente si sentì strattonare forte. Adesso nella canna c’era un vigore selvaggio, che vibrava di vita. Una forza invisibile quasi gliela strappò dalle mani. Il filo si spezzò e si afflosciò. Il pesce serra si era liberato. Si girò per dirlo al padre, ma anche lui adesso era preso dalla canna, che era piegata in due.

      Gunner prese una rete e si preparò. Il pesce serra – argentato e azzurro e verde e bianco e molto, molto arrabbiato, fu issato dall’acqua fin sull’abitacolo.

      “Bel pesce.”

      “Finalmente!”

      Il pesce cadde di peso sul ponte, preso nella maglia verde della rete.

      “Lo teniamo?”

      “No. Ci ha liberato dalla magra, ma siamo qui per i persici spigola. I pesci serra sono forti, ma i persici spigola sono più grossi, e poi grigliati vengono meglio.”

      Liberarono il pesce – Gunner osservò il padre agguantare il pesce che ancora si dimenava e contorceva e rimuovere l’uncino, con le dita a pochi centimetri da quei famelici denti. Suo padre gettò il pesce oltre la sponda, dove con una rapida frustata della coda si tuffò nelle profondità dell’oceano.

      Non appena fu scomparso il telefono di suo padre prese a suonare. Lui sorrise e guardò il telefono. Poi lo mise da parte. Vibrava e vibrava. Dopo un po’ smise. Passarono dieci secondi prima che ricominciasse.

      “Non rispondi?” disse Gunner.

      Scosse la testa. “No. Anzi, lo spengo.”

      Gunner sentì un’improvvisa paura nello stomaco. “Papà, ma devi rispondere. E se è un’emergenza? E se i cattivi stanno tornando?”

      Suo padre lo fissò per un lungo secondo. Il telefono aveva smesso di vibrare. Poi ricominciò. Rispose.

      “Stone,” disse.

      Fece una pausa e il suo viso si oscurò. “Ciao, Richard. Sì, il capo dello staff di Susan. Certo. Ho sentito parlare di te. Be’, senta. Lo sa che mi sto prendendo del tempo per me, no? Non ho nemmeno deciso se faccio ancora parte dello Special Response Team, o in qualsiasi modo si chiami adesso. Sì, lo capisco, ma c’è sempre qualcosa di urgente. Non capita mai che mi chiamino a casa per dirmi che non è urgente. Okay… okay. Se la presidente a questa riunione ci tiene davvero, mi può chiamare di persona. Sa dove trovarmi. Okay? Grazie.”

      Quando riappese, Gunner lo osservò.  Non sembrava che si stesse divertendo quanto si divertiva appena un minuto prima. Gunner sapeva


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