La Teoria Metafisica Dell'Economia Egualitaria. Jo M. Sekimonyo

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La Teoria Metafisica Dell'Economia Egualitaria - Jo M. Sekimonyo


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persona feroce? La mia coscienza è pulita."

      – Saloth Sar

      Il capitalismo è stato etichettato come il miglior meccanismo per offrire a ogni singolo partecipante uguali diritti e uguali opportunità. La servitù umana involontaria, la schiavitù, era ancora la regola generale di vita per gli umani riconosciuti quando questo accordo politico, sociale e commerciale è entrato sulla scena. Da allora abbiamo dato un nuovo tocco e un nuovo marchio di fabbrica all’oppressione prolungata. Una persona nasceva in schiavitù e moriva in schiavitù. Ai tempi nostri una persona viene in vita e muore in una innovativa e romanticizzata forma di schiavitù. Nell’osservazione del capitalismo, le variazioni dottrinali e la perpetua agonia sociale spesso si perdono nel mare dei capitalisti e negli schemi dei loro devoti correi.

      La lista dei deprecabili argomenti degli occidentali elitari del motivo per cui miliardi di persone sono immersi in una terribile povertà è troppo lungo. C’è stato un tempo in cui un commercio equo era uno scambio equo. Gli occidentali portarono il vaiolo nel nuovo mondo. In cambio ebbero la sifilide. Per gli hipster, l’antidoto all’ingiustizia del commercio è il commercio equo e solidale. Nessuno di questi cervelli fiacchi sembra notare gli aspetti critici delle nazioni in fondo alla classifica della povertà. Un occidentale costantemente stimola la coreografia della liberazione del senso di orientamento sociale e delle aspirazioni delle nazioni in via di sviluppo. Pensare per un minuto che il commercio equo promuova condizioni di lavoro sane e salubri, protegga l’ambiente, permetta la trasparenza, e aiuti le comunità a costruire affari forti e floridi è assurdo per non dire rivoltante. Il singolo comico exploit della crociata del commercio equo è l’esibizione di oche giulive in parti dimenticate e abbandonate del mondo. Le ingerenze pervasive dei governi occidentali rafforzano lo status quo del commercio globale negli affari delle nazioni deboli. Il commercio equo è solo un altro classico trucchetto nauseante per assicurare l’autorità del capitalismo o, per dirla più semplicemente, una tecnica di shime-waza sociale commerciale e politica.

      La furberia del commercio equo impallidisce al confronto di un’altra favola: la causalità tra il taglio dei costi e i prezzi. I costi produttivi devono essere ridotti all’osso per gli individui per venire incontro al costo dei loro voleri a scapito di quelli di un altro. C’è qualcosa di sbagliato nel segno dell’accettazione universale di questa falla emblematica di questo commercio. Questa delusione sancita dei compratori e il pegno verso la povertà delle nazioni dalla lingua legata elimina in modo opportuno qualsiasi rimorso mentre si osserva ipnotizzati la pila di rifiuti che produciamo. Il risultato di ogni schema di taglio dei costi è una crescita del surplus e un calo della qualità. Gli schemi di riduzione delle spese rendono i ricchi più ricchi e ingannano i poveri. È già troppo tardi per riconoscere che l’ossessione per il taglio dei costi sta rovinando l’ecosistema e il gusto umano.

      Di tanto in tanto, il pedaggio di morte dei disastri del capitalismo ci tiene svegli di notte. Melodrammatici e sporadici suicidi nelle unità industriali cinesi offuscano le epidemie di Karōshi in Giappone; le persone stanno letteralmente lavorando fino a morire. Cosa hanno in comune innominabili tragedie del ventunesimo secolo come la fabbrica Tazreen Fashions in Bangladesh e quella del ventesimo secolo della fabbrica Triangle Shirtwaist negli Stati Uniti? Le porte per le scale e le uscite erano chiuse per impedire ai lavoratori di prendere delle pause non autorizzate e di compiere dei piccoli furti. Il taglio dei costi e le argomentazioni sui rischi morali del commercio equo hanno carne forte e saporita. L’imbroglio morale è appesantito da eccezionali mistificatori. Considerando gli altri vergognosi costi umani, né le cospirazioni dei furfanti né le melodrammatiche scene nelle fabbriche sono i punti di concorrenza delle parodie del capitalismo. Il veleno del capitalismo è preparato dalla primitiva ingordigia dei lavoratori, dal desiderio di grandezza dei regimi e dalla elegante voracità degli avvoltoi.

      "La morte ha depositato le sue uova nella ferita."

      – Federico del Sagrado Corazón de Jesús García Lorca

      I trucchi della prosperità sono cosparsi di banderuole che accreditano di tutto il libero mercato. Queste illusioni di ricchezza globale sono arrivate per legittimare una obsolescenza pianificata. Non appena i concetti riammodernati scoloriscono e il mondo affronta i ricorrenti crolli del commercio, i capitalisti rifanno partire il circo. Tutti ottengono una dozzina di pass gratuiti per vedere i goffi Blemmi, passare fedeli contro i folli Sciopodi e le combriccole dell’austerità. Questi inquietanti spettacoli di lotta dissolvono con successo qualsiasi tentativo di un dialogo sincero sulla condivisione del surplus in una retorica pretenziosa. Occasionalmente, il codice di austerità di Hammurabi e le baruffe sulla stabilità delle spese vanno fuori controllo per finire in una serie di orribili rendezvous con la morte. Molto tempo è passato da quando i geni delle misure di austerità e i protagonisti delle spese erano fisicamente schiacciati. Più del senso che siano notoriamente indifferenti riguardo alle tragedie quando si guardano da lontano, la nostra predilezione per la celebrazione continua degli inventati "années folles" ha ammutolito gli scontri diabolici.

      I motivetti dell’austerità e le burle sulle spese sono alibi per la protezione degli interessi dei capitalisti. Vari ordini cavallereschi accademici che mettono a punto pile di brandelli di prove allucinanti per sfoggiare la loro immoralità e stimolare i capitalisti. Tutti questi diversi e molto divergenti desperados cominciano il loro ragionamento razionale sulle stesse premesse decorose: le persone hanno talenti differenti. Da questa argomentazione progressista, estraggono un discorso moralista orribile che implica che i capitalisti sono dei carrieristi che utilizzano i loro talenti innati. L’affermazione che solo pochi prescelti meritino di andare bene al di là di qualunque compenso immaginabile aggiunge gusto alla manipolazione di massa. Un piccolo numero di superuomini, chiamati capitalisti, possiedono un misto di parsimonia divina e predisposizione cromosomica per adempiere al necessario sacrificio di accumulare una ricchezza stupefacente. Poi c’è il resto; i mortali ordinari che non hanno le caratteristiche suddette. Gli "altri" umani hanno una intrinseca imperfezione morale nell’indulgere nella dissolutezza e di perdersi in spese pazze che li costringe al dolore perpetuo. Essi meritano giustamente una minuscola parte del guadagno generato da qualsiasi impresa. La mancanza di senso di questo racconto è uno sfacciato disprezzo di un minimo accumulo di reddito in contrasto con l’eccessivo allargamento della ricchezza. È il classico caso di impiccagione della vittima. La cattiva notizia è che questa stupida satira che insieme glorifica e banalizza il pregiudizio sociale è diffusa a livello mondiale ed è troppo spesso abusata per gettare fango sulle nazioni e su un intero emisfero.

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