Orlando Furioso. Lodovico Ariosto

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Orlando Furioso - Lodovico Ariosto


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domandò ch'iniqua sorte

      l'avesse fatta all'isola venire

      di là dove lasciata col consorte

      lieta l'avea, quanto si può più dire.

      — Non so (disse ella) s'io v'ho, che la morte

      voi mi schivaste, grazie a riferire,

      o da dolermi che per voi non sia

      oggi finita la miseria mia.

      57

      Io v'ho da ringraziar ch'una maniera

      di morir mi schivaste troppo enorme;

      che troppo saria enorme, se la fera

      nel brutto ventre avesse avuto a porme.

      Ma già non vi ringrazio ch'io non pera;

      che morte sol può di miseria torme:

      ben vi ringrazierò, se da voi darmi

      quella vedrò, che d'ogni duol può trarmi. —

      58

      Poi con gran pianto seguitò, dicendo

      come lo sposo suo l'avea tradita;

      che la lasciò su l'isola dormendo,

      donde ella poi fu dai corsar rapita.

      E mentre ella parlava, rivolgendo

      s'andava in quella guisa che scolpita

      o dipinta è Diana ne la fonte,

      che getta l'acqua ad Ateone in fronte;

      59

      che, quanto può, nasconde il petto e 'l ventre,

      più liberal dei fianchi e de le rene.

      Brama Orlando ch'in porto il suo legno entre;

      che lei, che sciolta avea da le catene,

      vorria coprir d'alcuna veste. Or mentre

      ch'a questo è intento, Oberto sopraviene,

      Oberto il re d'Ibernia, ch'avea inteso

      che 'l marin mostro era sul lito steso;

      60

      e che nuotando un cavallier era ito

      a porgli in gola un'ancora assai grave;

      e che l'avea così tirato al lito,

      come si suol tirar contr'acqua nave.

      Oberto, per veder se riferito

      colui da chi l'ha inteso, il vero gli have,

      se ne vien quivi; e la sua gente intanto

      arde e distrugge Ebuda in ogni canto.

      61

      Il re d'Ibernia, ancor che fosse Orlando,

      di sangue tinto, e d'acqua molle e brutto,

      brutto del sangue che si trasse quando

      uscì de l'orca in ch'era entrato tutto,

      pel conte l'andò pur raffigurando;

      tanto più che ne l'animo avea indutto,

      tosto che del valor sentì la nuova,

      ch'altri ch'Orlando non faria tal pruova.

      62

      Lo conoscea, perch'era stato infante

      d'onore in Francia, e se n'era partito

      per pigliar la corona, l'anno inante,

      del padre suo ch'era di vita uscito.

      Tante volte veduto, e tante e tante

      gli avea parlato, ch'era in infinito.

      Lo corse ad abbracciare e a fargli festa,

      trattasi la celata ch'avea in testa.

      63

      Non meno Orlando di veder contento

      si mostrò il re, che 'l re di veder lui.

      Poi che furo a iterar l'abbracciamento

      una o due volte tornati amendui,

      narrò ad Oberto Orlando il tradimento

      che fu fatto alla giovane, e da cui

      fatto le fu; dal perfido Bireno,

      che via d'ogn'altro lo dovea far meno.

      64

      Le prove gli narrò, che tante volte

      ella d'amarlo dimostrato avea:

      come i parenti e le sustanze tolte

      le furo, e al fin per lui morir volea;

      e ch'esso testimonio era di molte,

      e renderne buon conto ne potea.

      Mentre parlava, i begli occhi sereni

      de la donna di lagrime eran pieni.

      65

      Era il bel viso suo, quale esser suole

      da primavera alcuna volta il cielo,

      quando la pioggia cade, e a un tempo il sole

      si sgombra intorno il nubiloso velo.

      E come il rosignuol dolci carole

      mena nei rami alor del verde stelo,

      così alle belle lagrime le piume

      si bagna Amore, e gode al chiaro lume.

      66

      E ne la face de' begli occhi accende

      l'aurato strale, e nel ruscello amorza,

      che tra vermigli e bianchi fiori scende:

      e temprato che l'ha, tira di forza

      contra il garzon, che né scudo difende,

      né maglia doppia, né ferrigna scorza;

      che mentre sta a mirar gli occhi e le chiome,

      si sente il cor ferito, e non sa come.

      67

      Le bellezze d'Olimpia eran di quelle

      che son più rare: e non la fronte sola,

      gli occhi e le guance e le chiome avea belle,

      la bocca, il naso, gli omeri e la gola;

      ma discendendo giù da le mammelle,

      le parti che solea coprir la stola,

      fur di tanta eccellenza, ch'anteporse

      a quante n'avea il mondo potean forse.

      68

      Vinceano di candor le nievi intatte,

      ed eran più ch'avorio a toccar molli:

      le poppe ritondette parean latte

      che fuor dei giunchi allora allora tolli.

      Spazio fra lor tal discendea, qual fatte

      esser veggiàn fra picciolini colli

      l'ombrose valli, in sua stagione amene,

      che 'l verno abbia di nieve allora piene.

      69

      I rilevati fianchi e le belle anche,

      e netto più che specchio il ventre piano,

      pareano fatti, e quelle coscie bianche,

      da Fidia a torno, o da più dotta mano.

      Di quelle parti debbovi dir anche,

      che


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