Obiettivo Zero . Джек Марс

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Obiettivo Zero  - Джек Марс


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cosa?” sbottò la ragazza. “Di dire la verità? Allora dimmela!”

      “Non posso dirti la verità!” urlò lui. Nell’esplosione alzò le mani sopra i fianchi. Nell’impeto fece cadere il bicchiere d’acqua dal ripiano.

      Reid non ebbe il tempo di pensare o riflettere. I suoi istinti presero il sopravvento e in un gesto rapido ed elegante piegò le ginocchia e afferrò il bicchiere in volo prima che potesse atterrare sul pavimento.

      Emise un sospiro pentito mentre l’acqua ondeggiava senza che ne cadesse per terra una sola goccia.

      Maya lo fissò con occhi sgranati, anche se lui non avrebbe saputo dire se era più sorpresa dalle sue parole o dall’azione. Era la prima volta che lo vedeva muoversi in quella maniera, e anche la prima volta che lui confermava, ad alta voce, che la storia che gli aveva raccontato forse non era tutta la verità. Non importava che lei lo avesse saputo, né che lo avesse solo sospettato. Gli era sfuggito e non poteva più riprenderselo indietro.

      “Presa fortunata,” disse in fretta.

      Con lentezza Maya incrociò le braccia sul petto, con un sopracciglio alzato e le labbra strette insieme. Reid conosceva quello sguardo, era un’espressione accusatoria che aveva ereditato dalla madre. “Potrai aver ingannato Sara e la zia Linda, ma io non ci casco, nemmeno per un secondo.”

      Lui chiuse gli occhi e sospirò. La figlia maggiore non avrebbe lasciato perdere, quindi abbassò la voce e parlò con attenzione.

      “Maya, ascolta. Tu sei molto intelligente, di sicuro abbastanza da farti una tua idea su ciò che  è successo,” disse. “La cosa più importante che devi capire è che potrebbe essere pericoloso per te conoscere delle informazioni specifiche. Il rischio potenziale che avete corso quella settimana che sono stato via, potrebbe durare sempre se sapeste tutto. Non posso dirti se hai ragione o torto. Non confermerò né negherò nulla. Quindi per ora, diciamo solo che… puoi credere a qualsiasi ipotesi tu abbia fatto, basta che stai attenta a tenertela per te.”

      Maya annuì lentamente. Lanciò un’occhiata lungo il corridoio per accertarsi che Sara non fosse lì prima di dire: “Non sei solo un professore. Stai lavorando per qualcuno, a livello governativo, l’FBI forse, o la CIA…”

      “Gesù, Maya, ho detto di tenertelo per te!” mugugnò Reid.

      “La faccenda delle Olimpiadi Invernali, e il forum a Davos,” insistette lei. “Tu eri coinvolto.”

      “Te l’ho detto, non confermerò né negherò niente…”

      “E il gruppo terroristico di cui continuano a parlare al telegiornale, Amun. Hai aiutato a fermarlo?”

      Reid si voltò dall’altra parte, guardando fuori dalla finestrella che dava sul loro cortile. A quel punto era troppo tardi. Non serviva che confermasse o negasse. Lei glielo aveva letto in faccia.

      “Questo non è un gioco, Maya. È una faccenda seria, e se le persone sbagliate lo sapessero…”

      “Mamma lo sapeva?”

      Di tutte le domande che poteva fargli, quella era la più complicata. Rimase in silenzio per un lungo momento. Ancora una volta la sua figlia maggiore si era dimostrata furba, forse persino troppo per il suo stesso bene.

      “Non credo,” rispose piano.

      “E tutti i viaggi che facevi prima,” continuò Maya. “Non erano conferenze e lezioni in altri college, vero?”

      “No. Non lo erano.”

      “Poi ti sei interrotto per un po’. Hai smesso dopo… dopo che la mamma… ?”

      “Sì. Ma poi hanno avuto di nuovo bisogno di me.” C’era abbastanza verità in quella bugia che gli sembrava di non mentire, e sperava che avrebbe saziato la curiosità della figlia.

      Si rivoltò verso di lei. La ragazza stava fissando le piastrelle del pavimento, il volto segnato da un cipiglio. Era ovvio che aveva molte altre domande. Reid sperò che non le facesse.

      “Un’ultima domanda.” La sua voce era quasi un sussurro. “Questa storia ha qualcosa a che vedere con… con la morte della mamma?”

      “Oddio, no, Maya. Certo che no.” Reid attraversò in fretta la stanza e la strinse forte in un abbraccio. “Non pensarci nemmeno. Quello che è successo alla mamma è stato un problema di salute. Avrebbe potuto accadere a chiunque. Non è stato… non è stato per questo.”

      “Credo di averlo saputo,” disse lei a bassa voce. “Ma dovevo chiedertelo…”

      “Va tutto bene.” Era l’ultima cosa che voleva che la ragazza pensasse, che la morte di Kate fosse in qualche modo legata alla vita segreta in cui era coinvolto.

      Qualcosa gli attraversò la mente, una visione. Una memoria del passato.

      Una cucina familiare. La loro casa in Virginia, prima di trasferirsi a New York. Prima che lei morisse. Kate è davanti a te, bella proprio quanto ricordi, ma ha le sopracciglia aggrottate e il suo sguardo è duro. È arrabbiata. Sta gridando. Indica con le mani qualcosa sopra il tavolo…

      Reid indietreggiò, liberando Maya dall’abbraccio mentre il vago ricordo gli riaccendeva l’emicrania nella fronte. A volte il suo cervello cercava di ricordare certi eventi del passato che erano ancora sepolti, e il recupero forzato gli lasciava un vago mal di testa nella parte anteriore del cranio. Ma quella volta era stato diverso, strano; il ricordo era stato di Kate e di un qualche litigio che lui non ricordava di aver avuto.

      “Papà, stai bene?” chiese Maya.

      All’improvviso squillò il campanello, facendoli sobbalzare entrambi.

      “Uhm, sì,” mormorò lui. “Sto bene. Questa deve essere la pizza.” Guardò l’orologio e si accigliò. “Sono stati molto veloci. Torno subito.” Attraversò l’ingresso e guardò attraverso lo spioncino. Fuori c’era un giovane uomo con la barba scura e uno sguardo vacuo, che indossava una maglietta polo rossa con il logo della pizzeria.

      Nonostante ciò, Reid si lanciò uno sguardo alle spalle per accertarsi che Maya non stesse guardando, e poi infilò una mano nel giubbotto di pelle marrone scuro appeso a un gancio vicino la porta. Nella tasca interna c’era una Glock 22 carica. Tolse la sicura e se la nascose dietro i pantaloni prima di aprire la porta.

      “Consegna per Lawson,” disse con voce monotona il fattorino della pizza.

      “Sì, sono io. Quanto devo?”

      L’uomo strinse le due scatole con una mano mentre tendeva l’altra verso la tasca di dietro. Istintivamente Reid fece lo stesso.

      Notò un movimento con la coda dell’occhio e spostò lo sguardo sulla sinistra. Un uomo con un taglio militare stava attraversando in fretta il suo cortile, ma più importante ancora era il fatto che portava una pistola nella fondina al fianco, e aveva la mano destra sul calcio.

      CAPITOLO DUE

      Reid sollevò un braccio come un vigile che stesse fermando il traffico.

      “Va tutto bene, signor Thompson,” gridò. “È solo la consegna della pizza.”

      L’uomo anziano sul suo prato, con i capelli grigi rasati e il ventre prominente, si bloccò sui suoi passi. Il fattorino della pizza si guardò alle spalle e per la prima volta, mostrò una qualche emozione. Sgranò gli occhi per lo shock quando notò la pistola e la mano appoggiata sopra.

      “Sei sicuro, Reid?” Il signor Thompson studiò sospettoso l’uomo con le pizze.

      “Sono sicuro.”

      Lentamente il fattorino estrasse uno scontrino dalla tasca. “Uh, sono diciotto,” disse, sconcertato.

      Reid gli consegno una banconota da venti e una da dieci, per poi prendergli le scatole. “Tieni il resto.”

      L’uomo non se lo fece dire due volte. Corse alla sua coupé ancora accesa, saltò dentro e si allontanò con uno stridio di pneumatici. Il signor Thompson lo guardò andare via, con gli occhi socchiusi.

      “Grazie,


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