Una morte e un cane. Фиона Грейс

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Una morte e un cane - Фиона Грейс


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per quanto riguarda i cactus…” disse Brooke, facendole l’occhiolino.

      Spostò cibi e bevande dal vassoio al tavolo, diede le ciotole di acqua e le crocchette ai cani e lasciò Lacey e Gina perché potessero mangiare in pace.

      Nonostante l’elaborata descrizione offerta dal menù, il cibo era davvero buonissimo. L’avocado era perfettamente maturo, tanto morbido da poterlo addentare, ma non troppo da diventare pastoso. Il pane era fresco, selezionato e ben tostato. In effetti rivaleggiava addirittura con quello di Tom, e quello era il commento migliore che Lacey potesse riservare a del cibo! Però il vero trionfo era il caffè. Lacey stava bevendo tè in quei giorni, dato che glielo offrivano costantemente, e perché non c’era un locale del posto che le sembrasse abbastanza adeguato per un buon caffè. Ma quello di Brooke sembrava che le fosse stato portato direttamente dalla Colombia! Lacey sarebbe decisamente passata a prendere il suo caffè mattutino qui nelle giornate in cui iniziava lavoro a un’ora decente, piuttosto che in un’ora in cui la maggior parte delle persone sane di mente erano ancora a letto a dormire.

      Erano più o meno a metà del loro pranzo quando la porta automatica si aprì alle loro spalle e nel locale entrarono nientemeno che Buck e la sua stupida moglie. Lacey sbuffò.

      “Ehi, pollastra,” disse Buck schiccando le dita per richiamare Brooke e lasciandosi cadere su una sedia. “Ci serve un caffè. E io prendo una bistecca con le patatine.” Indicò il tavolino come se si aspettasse che le cose vi venissero posate sopra all’istante. “Daisy? Cosa vuoi tu?”

      La donna stava esitando vicino alla porta, in piedi nelle sue scarpe dai vertiginosi tacchi a spillo, in un certo senso terrorizzata da tutti i cactus.

      “Basta una cosa con pochissimi carboidrati dentro,” mormorò.

      “Un’insalata per la signorina,” disse Buck con tono secco, sempre rivolgendosi a Brooke. “Piano con il condimento.”

      Brooke lanciò un’occhiata a Lacey e Gina, poi andò a preparare le ordinazioni dei suoi scortesi clienti.

      Lacey affondò il volto tra le mani, provando un estremo imbarazzo per la coppia. Sperava sul serio che la gente di Wilfordshire non pensasse che tutti gli americani fossero così. Buck e Daisy stavano mettendo il suo paese sotto una cattiva luce.

      “Fantastico,” mormorò Lacey mentre Buck iniziava a parlare a voce alta con sua moglie. “Questi due hanno rovinato la mia pausa tè con Tom. Ora mi stanno rovinando il pranzo con te!”

      Gina pareva non essere per niente impressionata dalla coppia. “Ho un’idea,” disse.

      Si chinò e sussurrò qualcosa a Boudicca. Il cane sollevò le orecchie. Poi Gina la liberò dal guinzaglio. Il Border Collie cominciò a gironzolare per la sala da tè e saltò sul tavolo dei due americani, afferrando la bistecca dal piatto di Buck.

      “EHI!” tuonò l’uomo.

      Brooke non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere.

      Lacey sussultò, divertita dallo stratagemma di Gina.

      “Portamene un’altra!” ordinò Buck. “E fate USCIRE quel cane!”

      “Mi spiace, ma quella era l’ultima bistecca,” disse Brooke, facendo di soppiatto l’occhiolino a Lacey.

      La coppia si alzò bruscamente e se ne andò in malo modo.

      Le tre donne scoppiarono a ridere.

      “Non era davvero l’ultima, giusto?” chiese Lacey.

      “No,” rispose Brooke ridacchiando. “Ho il freezer pieno!”

      *

      La giornata lavorativa stava volgendo al termine e Lacey aveva finito di valutare tutti gli articoli navali per l’asta del giorno dopo. Era davvero emozionata.

      Sensazione che durò fino a che il campanello sopra alla porta suonò, e nel negozio entrarono Buck e Daisy.

      Lacey sbuffò. Non era calma quanto Tom e non era certo gioviale come Brooke. Era certa che il loro incontro non sarebbe andato per niente bene.

      “Guarda sta spazzatura,” disse Buck parlando con la moglie. “Davvero un’accozzaglia di nullità. Perché diavolo hai voluto entrare qua dentro, Daisy?” I suoi occhi caddero su Chester. “Ancora quel disgustoso cane!”

      Lacey strinse i denti così forte che pensò le si potessero rompere. Cercò di incanalare la calma di Tom mentre si avvicinava alla coppia.

      “Temo che Wilfordshire sia una cittadina molto piccola,” disse. “Ci si imbatte di continuo nelle stesse persone. E cani.”

      “È lei,” chiese Daisy, evidentemente riconoscendo Lacey dai precedenti incontri. “Questo è il suo negozio?” Aveva una voce svampita, da tipica bionda media.

      “Sì,” confermò Lacey, sentendosi sempre più nervosa. La domanda di Daisy le era suonata sovraccarica, come una sorta di accusa.

      “Quando ho sentito il suo accento in pasticceria, ho immaginato che fosse una cliente,” continuò Daisy. “Ma abita davvero in questo posto?” Fece una faccia basita. “Cosa l’ha spinta a lasciare l’America per venire qui?”

      Lacey sentì che ogni singolo muscolo del suo corpo si irrigidiva, mentre il sangue iniziava a ribollire.

      “Forse per lo stesso motivo per cui voi ci siete venuti in vacanza?” rispose con la voce più calma che riuscì a modulare. “La spiaggia. L’oceano. La campagna. L’architettura affascinante.”

      “Daisy,” disse Buck con voce rude. “Puoi sbrigarti a trovare quella cosa per cui mi hai trascinato qua dentro?”

      Daisy guardò verso il bancone. “Non c’è più.” Guardò poi Lacey. “Dov’è quella cosa di ottone che era là sopra prima?”

      Cosa di ottone? Lacey ripensò agli oggetti ai quali aveva lavorato prima dell’arrivo di Gina.

      Daisy continuò. “È come una specie di bussola, con un telescopio attaccato. Per le barche. L’ho visto attraverso la vetrina quando il negozio era chiuso per pranzo. L’ha già venduto?”

      “Intende dire il sestante?” chiese Lacey, corrugando la fronte confusa al pensiero che una svampita come Daisy volesse avere un antico sestante.

      “Giusto!” esclamò la donna. “Un sestante.”

      Buck rise. Ovviamente quel nome lo divertiva.

      “Non fai abbastanza sess…tante a casa?” disse con tono di scherno.

      Daisy ridacchiò, anche se a Lacey parve una reazione forzata, come se non fosse realmente divertita, ma volesse più che altro accontentarlo.

      Lacey, dal canto suo, non ci trovava niente di divertente. Incrociò le braccia e inarcò le sopracciglia.

      “Temo che il sestante non sia in vendita,” spiegò, mantenendo la propria concentrazione su Daisy piuttosto che su Buck, che le stava impedendo in tutti i modi di essere gentile. “Tutti i miei articoli navali andranno all’asta domani, quindi non sono disponibili per la comune vendita al banco.”

      Daisy fece il broncio, spingendo in fuori il labbro inferiore. “Ma io lo voglio. Buck pagherà il doppio del suo valore, non è vero, Bucky?” disse, tirandogli il braccio.

      Prima che Buck potesse rispondere, Lacey intervenne. “No, mi spiace, non è possibile. Non so quanto mi renderà. È così che funzionano le aste. È un pezzo raro e ci sono degli specialisti che verranno da tutto il paese solo per quello. Il prezzo potrebbe essere qualsiasi cosa. Se ve lo vendessi adesso, potrei perderci, e dato che i proventi andranno in beneficienza, voglio assicurare il migliore affare.”

      La fronte di Buck era segnata da una profonda ruga. In quel momento Lacey si rese effettivamente conto di quanto quell’uomo fosse grande e grosso. Era ben più alto di un metro e ottanta e largo il doppio di lei, come una grossa quercia. Le metteva soggezione


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