I Robinson italiani. Emilio Salgari

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I Robinson italiani - Emilio Salgari


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      Si vedevano alberi d'ogni specie incrociare i loro rami, tanto crescevano uniti, gli uni altissimi e grossi assai, altri esili e più bassi e altri ancora nodosi e contorti, tutti coperti da piante arrampicanti che formavano dei pittoreschi festoni.

      Molti uccelli di diverse specie volavano quà e là fuggendo in mezzo agli alberi più folti, mentre sulle sponde volteggiavano bande di rondini salangane e parecchi volatili acquatici.

      Nessuna traccia d'abitanti si scorgeva su quella costa: non canotti, non capanne, non un fuoco o del fumo che indicassero la presenza di qualche abitante. Si vedevano invece numerose scimmie, di quelle chiamate nasi lunghi (Nasalis larvatus) dalla fisonomia comica, col naso lungo, grosso, a punta rigonfia e rossa come quella dei discepoli di Bacco e che erano occupate a saccheggiare le frutta degli alberi.

      — Nessun abitante, signore? — chiese il marinaio, raggiungendo Albani.

      — No, finora, — rispose questi.

      — E da mettere sotto i denti, nulla?... Ho un appetito formidabile e vi assicuro che darei un anno di vita per una zuppiera di quel giupin, che papà Merlotti sapeva fare così delizioso.

      — Ed io due per un piatto di maccheroni col pomodoro, — disse il mozzo.

      — Per ora vi accontenterete delle frutte di questi durion, — rispose Albani, sorridendo.

      — Sono buone, almeno? — chiese il marinaio.

      — Le migliori e le più nutrienti di tutte, ma....

      — C'è un ma?...

      — Non so se saprete vincere l'odore ingrato che esalano.

      — Toh!... Sono le frutta più squisite e hanno un profumo che non tutti possono affrontare!... Che specie di frutta sono adunque?

      — Deliziose, ti ho detto.

      — Puzzassero anche di catrame, io le manderò giù — disse il mozzo. — Ho lo stomaco vuoto e reclama la colazione molto imperiosamente.

      — Seguitemi, — disse Albani. — Ecco delle frutta ben mature che sono già cadute. —

       Indice

      Presso un piccolo poggio, sorgeva un gruppo d'alberi altissimi, col tronco grosso assai e perfettamente liscio, coperti, ad un'altezza di sessanta o settanta piedi dal suolo, da foglie assai folte.

      Ai piedi di quei colossi si vedevano delle frutta grosse come la testa d'un uomo, ma di forma oblunga, coperti da una buccia verde-giallognola, irta di punte acutissime e lunghe parecchi centimetri.

      Alcune erano ancora chiuse, ma altre presentavano delle fessure dalle quali sfuggiva un odore niente affatto piacevole, poichè rassomigliava a quello esalante dai formaggi putridi e dall'aglio guasto. Attraverso però quelle spaccature si scorgeva una polpa biancastra, che pareva promettente.

      — Che odore! — esclamò il marinaio, arricciando il naso e facendo una brutta smorfia. — Che quest'albero produca del formaggio di Gorgonzola un po' troppo guasto?

      — O del cacio-cavallo putrido? — chiese il mozzo.

      — Toh! — esclamò il veneziano. — Io vi offro delle migliori e più delicate frutta della flora malese e voi cominciate a protestare di già.

      — Le vostre frutta saranno squisitissime, signore, ma tramandano un profumo da far scappare perfino i cani.

      — Io invece ti dico, Enrico, che i cani addenterebbero subito e con molto piacere la polpa di queste frutta, anzi ti dirò che sono ghiottissimi, avendo il sapore più d'una sostanza animale che vegetale. Orsù, non fate gli schizzinosi. —

      Il signor Albani spaccò un frutto, adoperando la scure, per non ferirsi le mani con quelle punte pericolose, ed estrasse la polpa che conteneva, facendo uscire dei grossi semi avviluppati in una pellicola.

      — Inghiottisci questa polpa, — disse, offrendola al marinaio. — Se l'odore ingrato ti dà noia, turati il naso. —

      Il marinaio, quantunque avesse i suoi dubbi sulla squisitezza di quelle frutta, ne mise un pezzo in bocca e, contro ogni previsione, la inghiottì avidamente.

      — Ma è deliziosa! — esclamò. — Migliore della crema più delicata e più profumata delle frutta più pregiate dei nostri paesi. Mangia, mio Piccolo Tonno, mangia!... I gelati della tua Napoli la perdono nel confronto. —

      Il mozzo, incoraggiato da quelle parole, si turò il naso e mandò giù.

      — Chi direbbe che queste frutta così puzzolenti sono così buone! — esclamò. — Ancora, signor Emilio, ancora! —

      Le frutta abbondavano e, possedendo la scure, i naufraghi non si trovavano imbarazzati ad aprirle. Abituatisi presto a quell'odore ingrato, fecero una vera scorpacciata di quella polpa tenera e così delicata.

      — Ma i semi non si mangiano? — chiese il marinaio.

      — Sì, — rispose Albani. — Si arrostiscono come le nostre castagne e ne hanno anche il sapore.

      — Signor Albani, facciamo una raccolta di queste frutta.

      — Si guastano presto, Enrico, non ne vale quindi la pena, e poi questo cibo è sostanzioso fino ad un certo punto. Bisognerà trovare qualche cosa di più solido.

      — Della carne? Credete che vi siano degli animali in quest'isola?

      — E perchè no? Troveremo dei babirussa, dei tapiri forse, delle scimmie e fors'anche degli animali pericolosi, delle tigri per esempio.

      — Delle tigri!... Diavolo!... E noi non abbiamo che una scure e due coltelli! Non so cosa accadrebbe di noi se uno di quegli animali ci assalisse!... Udiamo, signore, cosa avete intenzione di fare? Mi pare che la nostra situazione non sia molto brillante.

      — Sedetevi ed ascoltatemi, amici miei, — disse Albani. — Io non so in quale isola noi abbiamo approdato, ma credo che sia una di quelle che formano l'Arcipelago di Sulu e che sia disabitata.

      Forse m'ingannerò, ma temo che noi siamo destinati a fare la vita dei Robinson e ad intraprendere una vera lotta per poterci trarre d'impiccio.

      Questo mare poco noto, poco frequentato dalle navi, essendo noi lontani dalle linee che ordinariamente tengono i velieri, che dalle isole della Sonda si recano alle Filippine, non ci offrirà tanto presto l'occasione di venire raccolti, e chissà per quanto tempo saremo costretti a rimanere qui.

      Fortunatamente se quest'isola sembra deserta è ricca di piante, e la flora malese può procurare, per chi sappia approfittarne, mille cose sufficienti ai bisogni della vita.

      Non scoraggiatevi quindi: si tratta di lavorare e se Dio ci protegge, spero di potervi far passare tranquillamente, senza timori e senza sofferenze, tutto il tempo che saremo costretti a fermarci su quest'isola.

      Siamo i più poveri di tutti i Robinson, poichè gli altri, cominciando da Selkirk, il capo-scuola, l'eroe di Daniel de Foë, possedevano almeno delle armi da fuoco, mille cose utilissime che traevano dalle loro navi naufragate, ma colla fermezza e colla volontà noi nulla avremo da invidiare agli altri.

      Intanto, amici miei, pensiamo a fabbricare un ricovero che è il più urgente di tutto. Col tempo poi fabbricheremo delle armi mortali quanto i fucili....

      — Delle armi!... — esclamarono i due marinai stupiti. — Ma dove le troverete?...

      — A suo tempo lo saprete, — rispose Albani. — Poi cercheremo il pane....

      — Anche il pane!...

      — Sì, amici, e vi assicuro che il forno che costruiremo avrà molto da lavorare.

      — Fulmini!


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