I Robinson italiani. Emilio Salgari

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I Robinson italiani - Emilio Salgari


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l'espansivo marinaio strinse al petto anche il mozzo.

      Il rottame continuava a filare in direzione dell'isola, spingendolo il vento precisamente da quella parte.

      Il picco pareva che di momento in momento s'alzasse sull'orizzonte. Quale terra sorgeva laggiù?... Era un'isola appartenente all'Arcipelago di Sulu e abitata, oppure una di quelle scogliere deserte che sono così numerose in quel mare?... Pel momento ai naufraghi poco importava il saperlo; a loro bastava di poter toccare quella terra per riposarsi e per dissetarsi, essendo certi di trovare un po' d'acqua o per lo meno delle frutta.

      Albani, tenendosi ritto presso il pennone di pappafico, guardava con crescente attenzione il picco che spiccava sempre più nettamente sull'orizzonte, il quale ormai cominciava a rischiararsi, approssimandosi l'alba. Pareva che cercasse d'indovinare a quale terra apparteneva.

      — Vedete nulla, signore? — chiese il marinaio, che non poteva rimanere zitto.

      — Nulla, — rispose il veneziano.

      — Nemmeno un punto luminoso?

      — No.

      — Sembra vasta quell'isola?

      — Non mi pare.

      — Che sia deserta?

      — Te lo dirò quando saremo sbarcati.

      — Io la preferirei disabitata, signore, — disse il mozzo.

      — Briccone! E come faresti a procurarti dei viveri se non possediamo un fucile?

      — Abbiamo una scure e due coltelli.

      — Che Robinson miserabili!... Crosuè aveva almeno delle armi da fuoco e la dispensa della nave.

      — Ne faremo a meno.

      — Vorrei vederti alla prova.

      — Scorgo le sponde dell'isola, — disse in quell'istante Enrico.

      Il signor Emilio ed il mozzo, aiutandosi l'un l'altro per mantenersi in equilibrio, s'alzarono in piedi.

      L'isola non distava che cinque o sei miglia ed ora la si scorgeva perfettamente.

      Pareva che non dovesse essere vasta, poichè la sua fronte non si estendeva per parecchie miglia verso l'est e verso l'ovest ed il suo monte s'alzava per tre o quattrocento metri, formando, presso le vetta, due punte dentellate a mo' di sega.

      Dinanzi alle spiagge si vedevano emergere delle masse oscure, probabilmente delle scogliere corallifere e attorno ad esse si vedeva l'acqua spumeggiare per un vasto tratto.

      — La risacca sarà violenta laggiù — disse il marinaio, — ma noi approderemo egualmente. Piccolo Tonno, lascia andare la scotta: cammineremo di più. —

      La brezza che era aumentata invece di diminuire, urtava la vela con una certa violenza, imprimendo al rottame delle brusche scosse. La tranquilla superficie del mare cominciava a rompersi e delle larghe ondate si formavano, correndo da ponente a levante.

      Alle 4 del mattino, quando le prime luci dell'alba cominciavano a far impallidire gli astri, i naufraghi giungevano dinanzi alle prime scogliere dell'isola.

      La risacca si faceva sentire violentemente. Le ondate e le contro-ondate si urtavano con grande furia, rompendosi e accavallandosi con lunghi muggiti e coprendosi di spuma.

      Il rottame, scosso da tutte le parti, trabalzava disordinatamente minacciando di rovesciare in acqua i naufraghi. Già il pennone e la vela erano caduti in causa di quelle spinte disordinate.

      Ad un tratto toccò: si era arenato su d'un basso fondo.

      — In acqua!... — gridò il signor Emilio.

      Il marinaio mise il coltello nella cintola e abbandonò l'albero. Aspettò che l'onda, spinta dalla risacca, passasse e si slanciò verso la spiaggia arrestandosi dinanzi ad una specie di caverna entro la quale le acque si precipitavano con lunghi muggiti.

      I suoi compagni l'avevano seguito correndo.

       Indice

      Quella parte dell'isola, a prima vista, non presentava passaggi per salire la costa, la quale era alta assai e scendeva quasi a picco. Pel momento l'unico rifugio era quella caverna, la quale doveva essere stata scavata dall'impeto continuo delle ondate.

      Nè a destra nè a sinistra, scorgevasi alcun tratto di terra tanto larga da permettere ai naufraghi di sedersi e tanto meno di sdraiarsi.

      Quantunque nella caverna entrassero le onde, il marinaio s'inoltrò, sperando di trovare nell'interno un posticino per potersi riposare.

      Aspettò un istante perchè l'ondata uscisse, poi si spinse arditamente innanzi seguito dal signor Emilio e dal mozzo, ma d'improvviso si ritrasse emettendo un grido di sorpresa e di terrore.

      Una specie di braccio assai grosso, appena visibile fra quella prima luce che penetrava a stento dall'apertura, gli era piombato addosso, stringendolo a mezzo corpo.

      Dapprima il marinaio credette che fosse un braccio umano, ma ben presto s'accorse d'essersi ingannato: dinanzi a lui brillavano due occhi grandi, rotondi, fosforescenti i quali lo fissavano in tale modo che parevano volessero affascinarlo.

      Il marinaio era coraggioso, ma nel trovarsi dinanzi a quel mostro misterioso, fra quelle semi-oscurità, colle onde che gli urlavano intorno minacciando di rovesciarlo e con quel braccio che lo stringeva già con grande energia, si sentì rimescolare il sangue e rizzare i capelli.

      — Signor Emilio!... — urlò con voce strozzata.

      — Cosa avete? — chiese il veneziano, che nulla aveva potuto vedere, trovandosi ancora indietro.

      Il marinaio non potè rispondere. Quel braccio lo stringeva in modo da soffocarlo e alle reni gli faceva provare un dolore così acuto, come gli si succhiasse il sangue a forza.

      Non si era però smarrito d'animo. Facendo uno sforzo disperato trasse il coltello dalla cintola e con un rapido colpo tagliò netto quel membro dotato di quella forza straordinaria.

      Il veneziano correva allora in suo aiuto, tenendo ben stretta in pugno la scure. Con un solo sguardo, vide subito con quale formidabile avversario avevano da fare.

      — Indietro! — urlò.

      Il marinaro girò sui talloni lanciandosi verso l'apertura, ma due altre braccia lo afferrarono cercando di sollevarlo, mentre altre tre piombavano sul suo compagno.

      — Ah!... Canaglia! — urlò Albani, furibondo.

      Non badando che alla propria rabbia, si era scagliato a corpo perduto contro quei due grandi occhi che brillavano fra l'oscurità, menando colpi disperati, mentre il marinaio agitava pazzamente il coltello percuotendo a destra ed a sinistra.

      Ad un tratto si sentirono inondare da una scarica di liquido denso e che tramandava un acuto odore di muschio, mentre le braccia che li stringevano cadevano inerti.

      Mezzi soffocati ed acciecati guadagnarono a tentoni l'uscita, presso la quale si teneva il mozzo, urlando come un ossesso.

      — Fulmini di Genova! — esclamò il marinaio, correndo a tuffarsi nelle onde. — Che m'abbia acciecato?...

      — Ma siete inondati d'inchiostro! — urlò il mozzo. — Ma cosa è accaduto adunque?...

      — Aspetta un po' che mi lavi!... Mondaccio birbone.... Sono profumato come un caimano!... —

      Il veneziano era pure balzato in acqua e si lavava con grande vigore, stropicciandosi il viso, i capelli e le vesti.

      — Ma cos'è accaduto, dunque? — ripeteva il mozzo, il quale lanciava sguardi impauriti verso la caverna.

      — Auff! — esclamò finalmente il marinaio, riguadagnando


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