Il Quadriregio. Frezzi Federico

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Il Quadriregio - Frezzi Federico


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dista molto,

       ove tengo mie ninfe tanto oneste,

       45 che, solo udendo amor, le arroscia il volto;

      talché, quando Diana fa sue feste

       o va alla caccia tra luochi selvaggi,

       spesso vuole che alcuna io gli ne preste.

      Li sta la ninfa, la qual voglio ch'aggi,

       50 la qual, perché non gissi, io ti mostrai

       a lato a me tra gli splendenti raggi.—

      Partissi allora, ed io la seguitai

       insino a quelle, e di tant'eccellenza

       Natura ninfe non formò giammai.

      55 Né Fiandra, né Roma, ovver Fiorenza,

       né leggiadria giammai che di Francia esca,

       mostrâro ninfe di tant'apparenza.

      D'una di quelle Amor mi fece l'ésca

       ad ingannarmi, e fui preso sí come

       60 uccello o all'amo pesce che si pesca.

      Venere Ionia la chiamò per nome.

       Allor dall'altre venne la donzella

       con la grillanda su le bionde chiome.

       p. 82

       E, come va per via sposa novella

       65 a passi rari e porta gli occhi bassi

       con faccia vergognosa e non favella,

      cosí la falsa moveva li passi

       per ingannarmi e, quando mi fu appresso,

       mi riguardò; ond'io gran sospir trassi.

      70 Venere disse a lei:—Io ho promesso

       a questo giovinetto che ti guide:

       a lui ti diedi ed or ti dono ad esso.—

      Sí come putta che piangendo ride

       per ingannar, cosí bagnò la faccia,

       75 dicendo:—O sacra dea, a cui mi fide?

      In prima, o Iove, occidermi ti piaccia;

       in prima, o Citarea, voglio morire,

       che alcun uomo mi tenga tra le braccia.—

      E per podermi ancor meglio tradire,

       80 'sciuccava gli occhi a sé con li suoi panni,

       nel cor mostrando doglia e gran martire.

      Chi creso arebbe che cotanti inganni

       e tanta falsitá adoperasse

       ninfa, che non parea di quindici anni?

      85 Io pregava Cupido che tirasse

       contro di lei omai il suo fiero arco

       e che al mio voler la soggiogasse.

      Ed io il vidi col balestro carco

       nell'aer suso in uno splendor chiaro,

       90 e ferirla mostrò con gran rammarco.

      Non fe' all'Amor la ninfa piú riparo,

       ma il capo biondo sul mio petto pose

       e che io l'abbracciassi mostrò caro.

      Allor Venus di rosse e bianche rose

       95 a lei ed anco a me risperse il petto;

       e poi sparí come ombra e si nascose.

      Quand'ella vide me seco soletto,

       cosí mirava intorno con sospiri

       come persona, quand'ella ha sospetto.

       p. 83

       100 —Perché, o ninfa mia, intorno miri?

       —diss'io a lei.—Deh! alza gli occhi belli,

       che hai nel viso, quasi duo zaffiri.

      Perché stai timorosa e non favelli?—

       Allor alzò la faccia a me e parlommi,

       105 'sciuccando gli occhi a sé co' suoi capelli.

      —Pel sommo Iove e per li dèi piú sommi

       per l'aere e 'l cielo, il qual nostr'amor vede,

       pel duro dardo il qual gittato fommi,

      ti prego, amante, che mi dia la fede

       110 che non m'inganni e che vogli esser mio,

       da ch'io son tua e Venus mi ti diede.

      Or ti dirò perché ho sospetto io:

       qui stan centauri e fauni incestuosi,

       turpi in ogni atto scostumato e rio.

      115 E stanno tra le selve qui nascosi,

       e qui la 'Nvidia maledetta anco usa

       con sue tre lingue e denti venenosi.

      Ed io temo lor biasmo e loro accusa;

       però pavento, e sai che colpa occolta

       120 innante ai numi e al mondo ha mezza scusa.

      Però, acciò che teco non sia còlta,

       prego che la partenza non sia dura

       a te, né anco a me per questa volta.—

      Un monte mi mostrò e:—Su l'altura

       125 —mi disse sta un boschetto; io lí verraggio

       a te, quando la notte sará oscura.—

      E, perché 'l suo consiglio parve saggio,

       io me partii; ma prima li die' il giuro

       d'amarla sempremai con buon coraggio.

      130 Ed ella del venir mi fe' sicuro.

       Cosí n'andai; e, quando al loco fui

       colla speranza del venir futuro,

      dissi pregando:—O Febo, i corsier tui

       movi veloci verso l'occidente,

       135 perché piú ratto questo dí s'abbui.

       p. 84

       E tu, Atlante, il ciel piú prestamente

       movi coll'alte braccia e grandi e forti,

       perché la notte giunga all'oriente.

      O cerchio obliquo, che i pianeti porti,

       140 fa' sí che entri il sole in Capricorno,

       che sia la notte lunga e il dí raccorti,

      acciò che tosto passi questo giorno

       e venga Ionia, che venire aspetta,

       quando sia notte, meco a far soggiorno.

      145 Io benedico il foco e la saetta,

       o dio Cupido, col qual m'hai ferito;

       e la tua madre ancor sia benedetta,

      che, quando con Minerva insú er' ito,

       per me avvocò ed ella mi ritorse;

       150 ed ella ha fatto ch'ancor t'ho seguíto.

      E qui al suo reame ella mi scorse

       ed hammi data Ionia, e che a me vegna

       n'aggio speranza senza nessun forse,

      e spero in te e 'n lei che mi sovvegna.—

      p. 85

       Indice

      Dove si tratta dell'inganno, che fu fatto all'autore dalla ninfa Ionia.


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