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da Dio Padre soltanto, e non anche dal figlio, siccome noi crediamo. (Nota di N. N.)
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Leone III pose sulla cattedra di s. Pietro due scudi di fino argento pesanti ciascuno novantaquattro libbre e mezzo, su i quali inscrisse il testo dei due Simboli (utroque symbolo) pro amore et cautela orthodoxae fidei (Anastas., in Leon. III, nel Muratori, t. III, part. I, p. 208). Il linguaggio610 tenuto da esso prova evidentemente che nè il filioque, nè il Simbolo di Atanasio, erano riconosciuti a Roma verso l'anno 830.
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I Missi di Carlomagno sollecitarono vivamente il Pontefice, affinchè chiarisse dannati senza remissione tutti coloro che rifiutavano il filioque, o almeno la sua dottrina. Tutti, rispose il Papa, non hanno la capacità di raggiugnere colla mente altiora mysteria; qui potuerit et non voluerit, salvus esse non potest (Collect., Concil. t. IX, pag. 277-286). Il potuerit lasciava grandi aiuti alla salute delle anime.
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Non può dirsi che Leone III, che viveva nel principio del secolo nono, volesse precisamente cancellare il filioque ammesso dai Concilj provinciali di Spagna, e da Leone I Vescovo di Roma; egli solamente non voleva, che si aggiugnesse il filioque al Credimus ec. di Costantinopoli, e che si cantasse nelle chiese. In conclusione, comunque egli abbia creduto la procedenza dello Spirito Santo dal Padre ed anche dal figlio, fu ammessa, creduta dalla Chiesa, Latina, ed integrata al popolo, fino dal quinto secolo, ed il Concilio generale di Lione l'anno 1274 finalmente aggiunse il filioque al Credimus ec., del Concilio generale di Costantinopoli, e perciò ogni buon credente della Chiesa Latina, crede anche nella ultima aggiunta del filioque. (Nota di N. N.)
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La disciplina ecclesiastica può dirsi oggidì ben rilassata in Francia, confrontandola colla rigorosissima severità di alcuni regolamenti. Già il latte, il burro, il formaggio son divenuti nudrimento ordinario della Quaresima, e in questo tempo è permesso l'uso delle uova mediante un concedimento annuale, che tien vece di un'indulgenza perpetua (Vie privée des Français, t. II, p. 27, 38).
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I documenti originali dello scisma, e le accuse mosse dai Greci contra i Latini trovansi nelle Lettere di Fozio (Epist. Encyclica, II, pag. 47-61) e di Michele Cerulario (Canisii antiq. Lectiones, t. III, part. I, pag. 281-324, ediz. Basnage colla prolissa risposta del Cardinale Umberto).
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L'opera i Concilj (ediz. di Venezia) contiene tutti gli atti de' Sinodi e la storia di Fozio. I compendj del Dupin e del Fleury lasciano leggermente conoscere, ove stesse la ragione, ove il torto.
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Il Sinodo tenutosi a Costantinopoli nell'anno 869, ottavo fra i Concilj generali, è l'ultima Assemblea dell'Oriente che dalla Chiesa romana siasi riconosciuta. Questa non ammette i Sinodi di Costantinopoli degli anni 867 e 879 non men copiosi e romorosi degli altri, ma che si mostrarono favorevoli a Fozio.
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V. questo anatema nell'opera I Concilj (tom. XI, p. 1457-1460).
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Lo scisma s'accrebbe non solamente per le ardite intraprese dei Papi, ma anche per quelle de' Patriarchi Greci; la passione irritava, e trasportava tanto una parte, che l'altra. (Nota di N. N.)
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Anna Comnena (Alexiad., l. I, p. 31-33) dipinge l'orrore che concetto aveano, non solamente la Chiesa greca, ma anche la Corte, contro Gregorio VII, i Papi, e la Comunione Romana. Più veemente ancor lo stile di Cinnamo o di Niceta dimostrasi. Ciò nullameno quanto comparisse mansueta e moderata a petto di quella de' Teologi, la voce degli Storici!
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Lo Storico anonimo di Barbarossa (De expedit. Asiat. Fred. I, in Canisii Lection. antiq. t. III. part. II, p. 511, ediz. di Basnage) cita i Sermoni del Patriarca greco: Quomodo Graecis injunxerat in remissionem peccatorum Peregrinos occidere et delere de terra. Taginone osserva (in Scriptores Freher, t. I, pag. 409, ediz. di Struv.) Graeci haereticos nos appellant: clerici et monachi dictis et factis persequuntur. Noi possiamo aggiugnere la dichiarazione dell'Imperatore Baldovino quindici anni dopo: Haec est (gens) quae Latinos omnes non hominum nomine, sed canum dignabatur, quorum sanguinem effundere pene inter merita reputabant. (Gesta Innocent. III. cap. 92, in Muratori, Script. rerum Italicar. t. III: part. I, p. 536). Può esservi in tutto ciò qualche esagerazione; ma non quindi contribuì con minore efficacia alla azione e alla reazione dell'odio che era reale.
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V. Anna Comnena (Alex. l. VI, pag. 161-162) e un passo singolare di Niceta sopra Manuele, l. V, cap. IX, che intorno ai Veneziani osserva che κατα σμηνη και φρατριας την Κωνσταντινου πολιν της οικειας ηλλαξαντο ec., a sciami e per famiglie abbandonarono la patria per Costantinopoli.
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Ducange, Fam. Byzant. p. 186, 187.
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Nicetas, in Manuele l. VII, cap. 2, Regnante enim (Manuele) … apud eum tantum Latinus populus repererat gratiam, ut neglectis Graeculis suis tanquam viris mollibus, effoeminatis… solis Latinis grandia committeret negotia… erga eos profusa liberalitate abundabat… ex omni orbe ad eum tanquam ad benefactorem nobiles et ignobiles concurrebant (Guglielmo di Tiro XXII, c. 10).
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Ben si sarebbero confermati ne' loro sospetti i Greci, se avessero vedute le lettere politiche che Manuele scriveva al papa Alessandro III, nemico del suo nemico Federico I, manifestandogli desiderio di unire i Greci e i Latini in un sol gregge sotto i pastori medesimi (V. Fleury, Hist. ecclés. t. XV, p. 187, 213-243).
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V. le relazioni de' Greci e de' Latini in Niceta (Alessio Comneno c. 10) e in Guglielmo di Tiro (l. XXII; c. 10, 11, 12, 13); moderata e concisa la prima, verbosa, veemente e tragica la seconda.
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Il senatore Niceta ha composta in tre libri la storia del regno d'Isacco l'Angelo, p. 228-290, e pensando che ei fu Logoteto ossia primo Segretario e Giudice del Velo, o del palagio, grande imparzialità non ci possiamo aspettare da lui. Gli è però vero che sol dopo la caduta e la morte del suo benefattore, questa storia avea scritta.
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V. Boadino (Vit. Saladin, pag. 129-131-226, traduzione dello Sculthens). L'ambasciadore d'Isacco parlava indifferentemente il francese, il greco e l'arabo, cosa che in quel secolo può riguardarsi come un fenomeno. Il messaggio del Greco trovò alla Corte del Sultano accoglienza onorevole, ma il molto scandalo che produsse nell'Occidente ne fu il solo effetto.
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Ducange, Fam. Dalmat. p. 318, 319, 320. La corrispondenza tra il Pontefice romano e il Re de' Bulgari, leggesi nell'Opera Gesta Innocentii III, c. 66-82, p. 513-525.
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Il Papa riconobbe questa origine italiana di Giovannizio. A nobili urbis Romae prosapia genitores tui originem traxerunt. Il d'Anville (Etats de l'Europe, p. 258-262) spiega questa tradizione, e la grande somiglianza che si ravvisa fra la lingua latina e l'idioma de' Valacchi. Il torrente delle migrazioni avea trasportate dalle rive del Danubio a quelle del Volga le colonie poste da Traiano nella Dacia; e una seconda ondata dal Volga al Danubio, giusta il d'Anville, le avea ricondotte. La cosa è possibile, ma si toglie molto dall'ordinario.
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Questa parabola non disdice, per vero dire, allo stil di un Selvaggio; ma piaciuto sarebbemi che il Valacco non vi avesse frammessi il nome classico de' Misj, le esperienze della calamita, e la citazione di un antico poeta comico (Niceta, in Alex. Com. l. 1, p. 299-300).
È certo, che il Simbolo, ossia professione di Fede d'Atanasio, era riconosciuto a Roma, ed approvato, perchè egli già comprende gli stessi sentimenti, più sviluppati, che sono nel Credo ec. del Concilio di Nicea, dei quali il Papa Silvestro, ch'ebbe i suoi procuratori a quel Concilio, ed i di lui successori, furono sempre sostenitori contro gli Ariani, e contro i Semiariani. Sappiamo per altro da tutti gli Storici ecclesiastici, che alcuni anni dopo, il Papa legittimo Liberio, stanco dell'esilio e dolente della perdita della luminosa Sede Romana, cui l'aveva condannato l'Imperatore Costanzo figlio di Costantino, sostenitore degli Ariani contro gli Atanasiani, ossia Cattolici, sottoscrisse una formula di Fede Ariana, contraria a quella del Concilio di Nicea, non ammettendo il consubstantialem, scritto nel Credimus ec., di Nicea, e che il frutto ne fu il ricuperare il ricchissimo, e potente Vescovato di Roma: ma sappiamo altresì, che poscia fu egli dolente del suo fallo nella materia dogmatica, e ritornò a credere la divinità di Gesù Cristo, ammettendo la parola consubstantialem; siccome era stata dichiarata dal Concilio di Nicea nel Credimus ec. coll'espressione Jesum Christum Filium ejus consubstantialem Patri. Il fumoso Osio Vescovo di Cordova presidente del Concilio di Nicea, principale sostenitore della divinità di Gesù Cristo, e dell'espressione, consubstantialem Patri che la significava, e confidente di Costantino che fu con pompa imperiale, e con soldatesche al Concilio stesso, sottoscrisse pure la formula Ariana, negante la divinità di Cristo, sotto lo stesso Imperatore Costanzo, per evitare l'esilio, e per conservare l'immense ricchezze procacciatesi col favore dell'antecessore Imperator Costantino. Liberio cedette alle insinuazioni, e agli argomenti di due Vescovi Ariani, Arsacio e Valente: abbiamo già le lettere e le risposte. Vedi Lebbe, Collectio Conciliorum. (Nota di N. N.).