Minaccia Primaria: Le Origini di Luke Stone—Libro #3. Джек Марс

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Minaccia Primaria: Le Origini di Luke Stone—Libro #3 - Джек Марс


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Era quello che avrebbe detto un laureando all’università prima di una nottata a studiare per un esame. Aveva preso l’abitudine di mentirle sul lavoro e stava diventando difficile smettere.

      Che senso avrebbe avuto dirle la verità? Certo, poteva chiamarla, svegliarla da un sonno profondo, disturbare il bambino facendolo piangere, e tutto per dirle cosa?

      “Ciao, cara, sono diretto al circolo polare artico per eliminare alcuni terroristi che hanno attaccato una piattaforma petrolifera. Ci sono cadaveri sparsi ovunque. Già, sembra che sia l’ennesimo bagno di sangue. In realtà c’è il rischio che non ti riveda mai più. Okay, dormi bene. Bacia Gunner da parte mia.”

      No, era meglio tenere le labbra cucite, compiere la missione e fidarsi che tra i Navy SEAL e il GIS avessero gli uomini migliori per sbrigare quel lavoro. Avrebbe chiamato la moglie il mattino seguente, una volta finito tutto. Se le cose fossero andate bene e la squadra fosse stata incolume, le avrebbe detto che avevano preso un volo per Chicago per interrogare un testimone. Avrebbe continuato con la farsa che il Gruppo d’Intervento Speciale si occupasse principalmente di lavoro investigativo, macchiato solo di tanto in tanto da qualche scoppio di violenza.

      Okay, avrebbe fatto così.

      “Sei pronto?” disse una voce. “Stanno salendo tutti sull’elicottero.”

      Alzò lo sguardo. Alla sua porta c’era Mark Swann. Era sempre una visione sconcertante. Con la coda di cavallo, gli occhiali da aviatore, l’ombra di una barbetta incolta sul mento e le magliette delle rock band che sembrava indossare regolarmente… era come se avesse un cartello appeso al collo: NON MILITARE.

      Luke annuì. “Sì, ci sono.”

      Swann stava sorridendo. No, meglio, era radioso, come un bambino a Natale. Era una strana reazione di fronte alla prospettiva di un noioso volo su tutto il Nord America, seguito da uno snervante scontro armato con un nemico sconosciuto.

      “Ho appena scoperto come ci porteranno lì,” annunciò il collega. “Non ci crederai. È assolutamente stratosferico.”

      “Non avevo capito che saresti venuto anche tu,” osservò lui.

      Il sorriso di Swann si fece persino più ampio.

      “L’ho deciso adesso.”

      CAPITOLO SEI

      5 settembre 2005

      8:30 a.m. Orario di Mosca (12:30 a.m. Ora legale orientale)

      L’“Aquarium”

      Quartier Generale del Main Intelligence Directorate (GRU)

      Aeroporto di Khodynka

      Mosca, Russia

      “Che novità dal nostro amico?” chiese l'uomo di nome Marmilov.

      Era seduto alla scrivania di un ufficio senza finestre nel seminterrato, e fumava una sigaretta. Sul ripiano di acciaio verdastro che aveva di fronte c'era un posacenere di ceramica, già pieno di diversi mozziconi nonostante l’ora del mattino. C'era anche una tazza di caffè (corretto con un goccio di whiskey, Jameson, importato dall'Irlanda).

      Ogni mattino l'uomo fumava una sigaretta e beveva caffè nero. Era così che cominciava le sue giornate. Portava un abito scuro e i capelli radi erano pettinati di traverso sulla testa, irrigiditi e tenuti fermi dalla lacca. Tutto in quell’uomo era formato da spigoli duri e ossa sporgenti. Somigliava quasi a uno spaventapasseri. Ma i suoi occhi erano severi e intelligenti.

      Era nel giro da molto tempo e aveva visto tantissime cose. Era sopravvissuto alle epurazioni degli anni ’80, e quando c’era stato il cambiamento negli anni ’90 aveva resistito anche a quello. Tutto il GRU ne era uscito praticamente intatto, a differenza del suo povero fratellino, il KGB, che era stato fatto a pezzi e sparso al vento.

      Il GRU era vasto e potente come era sempre stato, forse persino di più. E Oleg Marmilov, di cinquantotto anni, aveva avuto un ruolo cruciale nella sua organizzazione per molto tempo. Era una piovra, la maggiore agenzia di intelligence russa, con i suoi tentacoli nelle missioni speciali, le reti di spionaggio di tutto il mondo, l’intercettazione di comunicazioni, gli omicidi politici, la destabilizzazione di governi, il traffico di droga, la disinformazione, la guerra psicologica, le operazioni sotto falsa bandiera, senza parlare del dispiegamento di 25mila soldati d’élite Spettanza.

      Marmilov era un polpo rintanato all’interno della piovra. Aveva le mani in pasta in talmente tanti affari che a volte un subordinato gli dava un rapporto e lui brancolava nel buio per un istante prima di pensare:

      “Oh, sì. Quella faccenda. Come sta andando?”

      Ma alcune delle sue attività erano in cima alla sua lista di priorità.

      Inchiodato sulla sua scrivania c’era un monitor. A un americano della giusta età, lo schermo avrebbe fatto pensare a una di quelle TV a gettoni che un tempo avevano riempito le stazioni degli autobus di tutto il paese.

      Sullo schermo stavano passando le riprese di telecamere di sicurezza. Dava per scontato che ci fosse un ritardo nella trasmissione, forse anche di mezzo minuto. A eccezione di quello, il video era dal vivo.

      Era buio, era calata la notte, ma Marmilov riusciva a vedere quanto bastava. Una scalinata metallica lungo il lato di una piattaforma petrolifera. Un agglomerato di baracche malconce in corrugato su un terreno freddo e arido. Un minuscolo impianto portuale sul mare ghiacciato, a cui era ormeggiata una piccola nave rompighiaccio. Non sembrava ci fosse anima viva.

      Alzò lo sguardo sull’uomo di fronte alla sua scrivania.

      “Beh? Ci sono novità?”

      Il suo ospite era un giovanotto che, nonostante l’abito civile della taglia sbagliata che portava, stava sull’attenti come un militare. Stava fissando qualcosa di immaginario in lontananza, invece che l’uomo a poco più di un metro da lui.

      “Sì, signore. Il nostro contatto ci ha fatto sapere che è stato scelto un gruppo di commando. La maggior parte di loro si sta radunando all’aeroporto di Deadhorse, in Alaska. Alcuni altri uomini, che rappresentano la supervisione civile del progetto, sono in viaggio su un aereo supersonico e arriveranno nelle prossime ore.”

      Si interruppe. “Dopodiché probabilmente non ci vorrà molto perché vengano dispiegate le forze d’assalto nemiche.”

      “Quanto sono attendibili queste informazioni?” volle sapere Marmilov.

      Il giovane scrollò le spalle. “Vengono da un incontro segreto che si è tenuto alla Casa Bianca. Potrebbe trattarsi di uno stratagemma, ma non lo crediamo. Il presidente vi ha presenziato, così come molti membri del comando militare.”

      “Sappiamo come si muoveranno?”

      L’altro annuì. “Pensiamo che impiegheranno dei sub che nuoteranno fino all’isola artificiale, emergeranno da sotto il ghiaccio e prepareranno il terreno per l’attacco.”

      Marmilov ci rifletté. “L’acqua deve essere piuttosto fredda.”

      Il giovane fece un cenno di conferma.

      “Sembra una missione complicata.”

      A quell’affermazione sul viso dell’altro apparve l’ombra di un sorriso. “I sommozzatori indosseranno un’attrezzatura subacquea pesante progettata per difenderli dal gelo, e la nostra intelligence ipotizza che porteranno le loro armi in contenitori sigillati. Sperano nell’effetto sorpresa, un attacco furtivo portato a segno da sub altamente addestrati. Ci sarà maltempo, e volare sarà difficile. Per quel che ne sappiamo, non sono previsti attacchi simultanei dall’acqua o dal cielo.”

      “I nostri amici possono respingerli?”

      “Essendo preavvertiti del loro arrivo, e conoscendo la modalità d’attacco, è possibile che riescano a organizzarsi per ucciderli tutti. Dopodiché…”

      Il giovane scrollò le spalle. “Ovviamente gli americani


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