Minaccia Primaria: Le Origini di Luke Stone—Libro #3. Джек Марс

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Minaccia Primaria: Le Origini di Luke Stone—Libro #3 - Джек Марс


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sugli sviluppi.”

      “Ma certo.”

      Lui indicò il monitor sulla scrivania. “E naturalmente, sono un grande fan dello sport. Quando inizierà l’azione, seguirò ogni momento alla TV.”

      CAPITOLO SETTE

      12:45 a.m. Ora legale orientale (8:45 p.m. Ora legale in Alaska, 4 settembre)

      I cieli sopra la Penisola superiore

      Michigan

      L’aereo sperimentale sfrecciava nel cielo nero.

      Luke non era mai stato su un velivolo come quello. Tutto in esso ero inusuale. Quando la squadra del GIS lo aveva raggiunto sulla pista, tutte le luci erano state spente. Non solo quelle dell’aereo stesso, ma anche quelle nelle piste vicine o dell’aeroporto. Il mezzo era nel bel mezzo dell’oscurità quasi più totale.

      La sua cellula era strana. Era molto stretta, con un muso ricurvo in avanti come il becco di un uccello che si chinasse per bere. Gli alettoni posteriori avevano una forma triangolare che lui non aveva mai visto prima e non riusciva a distinguere chiaramente.

      All’interno anche la configurazione della cabina era insolita. Invece di essere disposta come il classico jet del Pentagono o da areo per i viaggi d’affari, con le poltroncine tradizionali e i tavolini estraibili, sembrava il salotto di una casa.

      Lungo una parete c’era un lungo divano componibile, e il suo schienale si alzava laddove avrebbero dovuto esserci i piccoli oblò ovali. Davanti aveva due sedie reclinabili, e in mezzo un pesante tavolo di legno, come un tavolino da caffè, era inchiodato al pavimento. Ancora più strano, dal lato opposto del divano c’era un’ampia televisione a schermo piatto, dove avrebbe dovuto esserci l’altra fila di oblò.

      Ma la parte più bizzarra di tutte, da quello che Luke poteva vedere dalla sua posizione sul divano, era il grosso vetro divisorio alla sua sinistra. Al centro si apriva una porta e dall’altra parte c’era un’altra cabina passeggeri, una con la disposizione tipica di quella in un piccolo aereo di linea. Dentro c’erano due uomini. Erano seduti all’interno dello spazio, e discutevano di chissà cosa guardando lo schermo di un portatile.

      A quanto pareva la partizione di vetro era insonorizzata, perché i due sembravano parlare normalmente ma Luke non sentiva nulla di quello che dicevano. Entrambi gli uomini portavano i capelli con un taglio militare e avevano un portamento marziale. Uno indossava una maglietta e un paio di jeans e l’altro era in giacca e cravatta. Il primo era grosso e molto muscoloso.

      “È un SST,” disse Swann. Era seduto sul divano con lui, dall’altra parte di Trudy Wellington, che era accomodata in mezzo ai due uomini, concentrata sui documenti sul proprio portatile. L’esistenza stessa dell’aereo pareva emozionare Swann in una maniera che a Luke risultava incomprensibile.

      “È supersonico, ma non è un caccia. È un aereo di linea. Da quando i francesi si sono arresi con il Concorde e i russi con il Tupolev, non c’è nessuno sulla Terra che voglia ammettere di essere al lavoro su jet supersonici per il trasporto passeggeri.”

      “Ma suppongo che qualcuno abbia lavorato su questo,” commentò Luke.

      Murphy, seduto su una delle poltroncine, indicò il vetro divisorio con un cenno del capo.

      “Mi domando chi siano le scimmie dietro la porta numero tre.”

      Ed Newsam, stravaccato come una grossa montagna sull’altro sedile, annuì lentamente. “Siamo in due, amico.”

      “A chi importa,” replicò Swann. Puntò l’indice verso lo schermo televisivo di fronte al divano. In quel momento trasmetteva l’immagine di un aeroplano in volo lungo il confine settentrionale degli Stati Uniti, sopra lo stato del Michigan. I dati in basso segnalavano l’altitudine, la velocità al suolo equivalente, e il tempo d’arrivo previsto alla destinazione.

      “Guardate quei numeri. Altitudine 58mila piedi, velocità al suolo 1554 miglia orarie. Siamo praticamente a Mach 2, due volte la velocità del suono. Siamo decollati da poco più di trenta minuti e ci mancano solo due ore e mezza per arrivare. È incredibile per un mezzo di questa grandezza, che suppongo sia la stessa di un Gulfstream. Riuscite a immaginare che razza di spinta deve avere questa cosa per superare la resistenza? Non ho nemmeno sentito il boom sonico.”

      Si interruppe per un istante e si guardò intorno.

      “Voi avete sentito qualcosa?”

      Nessuno gli rispose. Tutti gli altri sembravano concentrati sulla destinazione, la missione e il mistero dei due uomini nell’altra stanza. Il modo in cui avrebbero raggiunto il sito dell’operazione era irrilevante. Per Luke l’aereo era l’ennesimo giocattolo per bambini troppo cresciuti, e probabilmente doveva costare pure uno sproposito.

      Ma Swann adorava i suoi aggeggi. “C’è una cosa strana nel nostro itinerario. Siamo diretti nell’Alaska artico, e il percorso più efficiente per arrivare lì è attraversando il Canada e muovendoci in diagonale nel loro entroterra verso nord-ovest. Ma invece rimaniamo sopra il confine. Perché?”

      “Perché preferiamo l’inefficienza?” disse Ed Newsam con un ghigno.

      Swann non fece nemmeno caso alla battuta e scosse la testa. “No. Perché se attraversassimo il Canada, dovremmo spiegargli cos’è questa cosa che si muove a due volte la velocità del suono nel loro spazio aereo. Anche se sono uno dei nostri alleati più stretti, non vogliamo dirgli di questo aereo. E ciò mi dice che è top secret.”

      “In effetti,” intervenne Trudy, senza alzare lo sguardo dal computer, “dovremo attraversare il Canada a un certo punto. L’Alaska non è attaccato al resto degli Stati Uniti.”

      Swann fissò la donna.

      “Ahio,” ghignò Ed. “Una lezione di geografia. Deve far male.”

      “Possiamo parlare di qualcos’altro?” domandò Murphy. “Per favore?”

      Luke guardò Trudy Wellington, seduta accanto a lui. Era accoccolata sul divanetto nella sua classica posa, con le gambe piegate sotto di sé. Era come se fosse stata a casa sua, a mangiare popcorn e in procinto di guardare un film. I suoi capelli ricci erano sciolti, e gli occhiali dalla montatura rossa le pendevano sulla punta del nasino. Stava scorrendo rapidamente lo schermo.

      “Trudy?” la chiamò.

      Lei alzò lo sguardo. “Sì?”

      “Che ci facciamo qui?”

      La donna lo fissò. Sgranò gli occhi per la sorpresa.

      “Tu che cosa ne pensi?” si spiegò lui. “Chi sono i terroristi, che cosa vogliono, perché hanno attaccato una piattaforma petrolifera e per quale motivo proprio ora?”

      “Ti sarebbe d’aiuto?” replicò lei. “Voglio dire, con la missione?”

      Luke scrollò le spalle. “Potrebbe. Non ci hanno detto niente e nessuno sembra interessato a illuminarci neanche un po’.”

      “Né a parlare con noi, se è per questo,” commentò Murphy. Stava ancora fissando i due dall’altra parte del vetro.

      “Okay,” si arrese Trudy. “Prima la parte più semplice, il motivo dell’attacco a una piattaforma petrolifera e perché proprio ora. Poi vi dirò la mia teoria su chi siano e che cosa vogliano.

      Luke annuì. “Siamo tutti orecchie.”

      “Darò per scontato che nessuno sappia nulla,” continuò lei.

      Ed Newsam era talmente steso sulla sua poltroncina che sembrava sul punto di scivolare a terra. “Direi che oggi non corri rischi.”

      La giovane donna sorrise. “Il Mar Glaciale Artico si sta sciogliendo,” cominciò. “La gente, gli stati, la stampa, le multinazionali, stanno tutti discutendo gli effetti a lungo termine del riscaldamento globale, e persino se esista o meno. Tra la maggior parte degli


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