Minaccia Primaria: Le Origini di Luke Stone—Libro #3. Джек Марс
Читать онлайн книгу.parola. Pareva una composizione scultorea, immersa in un cerchio di luce chiara.
L’uomo prese a parlare più in fretta. “Senti, non farlo,” disse. “Ho del denaro. Molto denaro. Sono l’unico che sa dove è.”
Murphy annuì. “Sì, anche io.”
Premette il grilletto e…
CLACK.
Fu un po’ più rumoroso del normale. Non aveva preso in considerazione l’eco nell’ampio spazio vuoto. Scrollò le spalle. Non aveva importanza.
Se ne andò senza degnare il disastro a terra di un secondo sguardo.
Dieci minuti più tardi era in auto, e stava sfrecciando sulla Beltway. Il suo cellulare squillò. Era un numero privato. Non significava niente. Potevano essere buone notizie, ma anche cattive. Rispose.
“Sì?”
Una voce femminile: “Murph?”
Sorrise. Riconobbe subito la donna dall’altro capo.
“Trudy Wellington,” esclamò. “Che bello ricevere una tua chiamata nel cuore della notte. Se mi dici da dove chiami, ti raggiungo subito.”
Lei trattenne una risata. Murphy glielo sentì nella voce. Era quello il modo giusto per entrare nel cuore, e nella camera da letto, delle donne.
“Ah… come no. Ti piacerebbe. Ti chiamo dagli uffici del GIS. C’è una crisi e hanno bisogno di noi. Don deve radunare un po’ di gente, il prima possibile. E vuole te.”
CAPITOLO QUATTRO
10:20 p.m. Ora legale orientale
Fairfax County, Virginia
Sobborghi di Washington, DC
“Che ne pensi, piccolo?”
Luke Stone sussurrò la domanda. Probabilmente solo lui riuscì a sentirla.
Era seduto sul lungo divano bianco nel suo nuovo soggiorno, con Gunner, il figlio di quattro mesi, in grembo. Gunner era un bambino grande e pesante. Aveva indosso un pannolino e una maglietta blu su cui campeggiava la scritta World’s Best Baby, ‘Il bambino migliore del mondo’.
Si era addormentato tra le sue braccia da qualche tempo. Il suo pancino si alzava e si abbassava, e nel sonno russava piano. Era normale che un bambino russasse? Luke non lo sapeva, ma per qualche motivo trovava quel suono confortante. Di più, era persino piacevole.
L’agente speciale teneva in grembo il figlio nella penombra e si guardava attorno nella stanza, cercando di dare un senso alla casa.
Quel posto era un regalo di Audrey e Lance, i genitori di sua moglie Becca. Già quel fatto da solo difficile da mandar giù. Lui non si sarebbe mai potuto permettere quella casa con il suo stipendio da dipendente governativo, nonostante fosse di più di quello che aveva guadagnato quando era nell’esercito. Becca invece non lavorava affatto, ma anche se lo avesse fatto, neanche i loro due stipendi insieme sarebbero stati sufficienti per comprare un appartamento con quello. L’acquisto gli aveva dato una nuova prospettiva sulla ricchezza reale della famiglia della moglie.
Aveva saputo che fossero danarosi. Ma Luke era cresciuto senza soldi e non aveva idea di cosa fosse la vera ricchezza. Fino a poco prima lui e Becca avevano vissuto nel cottage della famiglia della moglie, sulla costa orientale di Chesapeake Bay, e quella casetta centenaria, pur essendo a un’ora e mezza di distanza dal suo lavoro, era stata una soluzione abitativa spettacolare. In precedenza Luke era stato abituato a dormire sulla dura terra, o a non dormire affatto.
Ma quel posto?
Si guardò intorno nella sala. Era una costruzione moderna, con grandi finestre alte fino al soffitto. Sembrava uscita da una rivista di architettura, una scatola di vetro. Quando fosse arrivato l’inverno e avesse nevicato, probabilmente sarebbe sembrata uno di quei globi di neve che si usavano quando era piccolo. Riusciva a immaginarsi come sarebbe stato passare lì il Natale, seduto in quel magnifico salotto, con l’albero in un angolo, il caminetto acceso e i fiocchi candidi che gli volteggiavano tutt’intorno.
E quello era solo il soggiorno. Poi c’era l’enorme cucina rustica dominata dall’isola e dal gigantesco frigo con freezer incorporato a due porte. E la camera da letto principale con il bagno, e poi tutto il resto del posto. Oltretutto era a una decina di minuti dal suo ufficio.
Da dove era seduto, sul divano, poteva vedere le grandi finestre aperte verso sud e a ovest. La casa si trovava sopra una piccola collinetta erbosa, e grazie all’altezza il panorama era spettacolare. Era in un quartiere tranquillo pieno di costruzioni altrettanto grandi, a una certa distanza dalla strada. Nella loro via non si poteva parcheggiare. Era il tipo di zona dove la gente lasciava l’auto nel proprio viale d’ingresso o nel garage.
Luke non aveva ancora incontrato i nuovi vicini, ma immaginava che fossero avvocati, magari dottori, o persone con incarichi aziendali di alto livello. Nutriva sentimenti contrastanti al riguardo. Ma non nei confronti dei vicini, bensì della casa.
Tanto per iniziare, non si fidava di Audrey e Lance.
Non era mai piaciuto ai genitori di Becca. I due lo avevano sempre messo in chiaro. Anche dopo la nascita di Gunner, erano stati riluttanti a lasciar usare il loro cottage alla figlia e al genero. Audrey in particolare era sempre stata una maestra nel commento maligno. Riusciva di continuo a metterlo in cattiva luce con la moglie.
Gli apparve un’immagine della donna nella mente: c’era qualcosa in lei che faceva pensare a un corvo. Aveva occhi infossati con iridi tanto scure da sembrare nere. Il suo naso era adunco, simile a un becco. Aveva un’ossatura sottile e un fisico snello, e la tendenza a incombere nei paraggi, come la foriera di cattive notizie.
Ma poi il Gruppo d’Intervento Speciale aveva portato a termine un paio di casi di spicco, e Audrey e Lance avevano incontrato il leggendario Don Morris, il fondatore delle operazioni speciali e direttore del GIS.
All’improvviso, avevano ritenuto che lui e Becca avessero bisogno di una casa migliore, più vicina al suo lavoro. E come niente fosse, eccoli lì.
Luke non riusciva ancora a credere alla velocità con cui si erano svolti gli eventi. In missione era sempre stato noto per la rapidità dei suoi riflessi e dei suoi tempi di reazione, ma l’acquisto di quella casa era stato sbrigato tanto in fretta da fargli girare la testa.
Due persone che per anni lo avevano detestato intensamente gli avevano fatto un regalo di proporzioni indescrivibili.
Si prese un momento per godersi il silenzio. Fece un profondo respiro, quasi con lo stesso ritmo del suo figlio neonato. No. Non era vero. Il vero dono era stato quel bambino. La casa non era niente in confronto a lui.
Sul tavolo davanti a lui gli si illuminò il cellulare. Lo guardò. Il chiarore bianco e bluastro lanciava ombre bizzarre nella penombra. Era silenzioso, gli aveva tolto la suoneria. Non aveva voluto disturbare il bambino, né Becca, che si stava godendo un meritato e necessario riposo in camera da letto.
Lanciò un’occhiata all’ora. Erano le dieci passate. Poteva significare diverse cose. Forse qualche ex compagno dell’esercito lo stava chiamando da sbronzo. Oppure qualcuno stava sbagliando numero, o magari… Lo lasciò squillare fino a quando non si spense e tornò buio.
Un momento dopo ricominciò.
Sospirò, studiando il numero. Ovviamente era il suo lavoro.
Prese il cellulare.
“Pronto?”
Dalla voce che usò si capiva che si stava riposando e avrebbe preferito non essere disturbato.
Gli rispose una voce femminile. Trudy Wellington. Se l’immaginò: giovane, bellissima, intelligente, con i suoi lunghi capelli castani sciolti sulle spalle.
“Luke?”
“Sì.”
Era seria, concentrata sul lavoro.