Minaccia Primaria: Le Origini di Luke Stone—Libro #3. Джек Марс
Читать онлайн книгу.sta richiamando i soliti sospetti. Io sono già qui. Swann, Murphy ed Ed Newman stanno arrivando.”
“Subito?” Lo chiese anche se conosceva già la risposta.
“Sì. Subito.”
“Può aspettare?”
“Proprio no.”
“Mmh.”
“E Luke? Porta una borsa da viaggio.”
Lui alzò gli occhi al cielo. Il lavoro e la sua vita personale erano in lotta costante. Non per la prima volta, si chiese se quello che faceva per vivere non fosse incompatibile con la famiglia felice che stata cercando di costruire con Becca.
“Dove dobbiamo andare?”
“Informazione riservata. Lo scoprirai alla riunione.”
Luke annuì. “Okay.”
Richiuse il telefono e fece un lungo sospiro.
Sollevò il bambino tra le braccia e si alzò, per dirigersi verso la camera da letto padronale in fondo al corridoio. Era buio, ma vedeva quanto bastava. Becca stava sonnecchiando sul grande letto matrimoniale. Si chinò per poggiarle accanto Gunner, accarezzandole appena la pelle. Nel suo dormiveglia, la moglie emise un verso di piacere e mise una mano sul bambino.
Lui rimase fermo a guardarli per un po’. Madre e figlio. Un’onda di amore tanto intenso da sembrare incomprensibile lo travolse. Quasi non lo capiva lui stesso, era impossibile riuscire e esprimerlo a parole. Era indicibile.
Erano la sua vita.
Ma doveva partire lo stesso.
CAPITOLO CINQUE
11:05 p.m. Ora legale orientale
Quartier generale del Gruppo d’Intervento Speciale
McLean, Virginia
“Perché siamo qui?” chiese Kevin Murphy.
Era vestito in stile business casual, come se fosse appena uscito da un incontro per giovani professionisti.
Mark Swann, il cui abbigliamento era tutt’altro che adatto al lavoro, sogghignò. Portava una maglietta nera dei Ramones e un paio di jeans strappati. I suoi capelli erano raccolti in una coda di cavallo.
“In senso esistenziale?”
Murphy scosse la testa. “No. Quello che voglio sapere è perché siamo tutti in questa stanza nel bel mezzo della notte.”
La sala conferenze, che a volte Don Morris chiamava ottimisticamente il Centro di Comando, era occupata da un lungo tavolo rettangolare con un dispositivo per il vivavice montato al centro. C’erano prese in cui attaccare il portatile, a distanza di un metro circa l’una dall’altra. Sulla parete erano montati due grossi monitor.
Era uno spazio piuttosto ristretto, e Luke aveva partecipato a riunioni in cui una ventina di persone si erano strette lì dentro. Venti persone lo avevano fatto sembrare un vagone della metropolitana di Tokyo all’ora di punta.
“Va bene, gente,” esordì Don Morris. L’uomo anziano indossava una camicia aderente con le maniche arrotolate sugli avambracci. C’era del caffè in un bicchiere di carta di fronte a lui. I suoi capelli bianchi erano tagliati molto corti sul cranio, come se fosse appena stato dal barbiere. Il suo linguaggio del corpo era rilassato, ma i suoi occhi erano duri come l’acciaio.
“Grazie per essere venuti tanto in fretta. Ma ora basta con le chiacchiere, se non vi dispiace.”
In tutta la sala, i presenti mormorarono in assenso. Oltre a Don Morris, Swann, Murphy e Luke, c’era anche Ed Newsam, stravaccato sulla sedia. Indossava una maglietta nera con le maniche lunghe che gli abbracciava il torace muscoloso. Portava jeans e scarponcini gialli Timberland slacciati. Aveva l’espressione di qualcuno che fosse stato profondamente addormentato appena prima di andare a quella riunione.
C’era anche Trudy Wellington. Era in camicetta e pantaloni eleganti, come se non fosse mai andata a casa dal lavoro. I suoi occhiali rossi erano sollevati sulla testa. Sembrava sveglia e stava bevendo del caffè. Aveva già iniziato a battere informazioni nel portatile che aveva davanti. Qualsiasi cosa stesse succedendo, era stata la prima a esserne informata.
Dall’altro capo del tavolo, vicino ai monitor, c’era un generale a quattro stelle alto e magro, abbigliato in un’impeccabile uniforme. Portava i capelli grigi tagliati molto corti. Aveva il volto liscio, rasato di fresco. Nonostante l’ora tarda, sembrava lucido e pronto ad agire per le seguenti ventiquattro o quarantotto ore, o per tutto il tempo che fosse stato necessario.
Luke lo aveva già incontrato una volta, ma anche se non l’avesse mai visto prima, conosceva il tipo. Ogni mattina al suo risveglio, prima di qualsiasi altra cosa, rifaceva il letto. La prima missione compiuta di una giornata, per spianare la strada a tutte le successive. Con ogni probabilità, prima ancora del sorgere del sole, correva dieci miglia e mandava giù una sbobba fredda con del caffè molto forte. Aveva militare di carriera scritto a lettere cubitali sulla fronte.
Seduto al tavolo accanto a lui c’era un colonnello con un portatile aperto di fronte, oltre a una pila di documenti. L’altro non aveva ancora alzato lo sguardo dal computer.
“Gente,” disse Don Morris, “vorrei presentarvi il generale Richard Stark degli Stati Maggiori Riuniti, e il suo attendente, il colonnello Pat Wiggins.”
L’uomo anziano guardò il generale.
“Dick, i cervelli del Gruppo d’Intervento Speciale sono a tua disposizione.”
“Se così vogliamo chiamarli,” commentò Mark Swann.
Don Morris gli lanciò un’occhiataccia, il tipo d’espressione che avrebbe potuto rivolgere a un figlio adolescente troppo impudente, ma non disse nulla.
“Signori,” li salutò Stark, e poi si inchinò verso Trudy. “E signora. Andrò dritto al punto. È in corso un’emergenza ostaggi nell’Alaska artico, e il presidente degli Stati Uniti ha autorizzato una missione di salvataggio. Secondo i suoi ordini la missione deve essere supervisionata e presenziata da un’agenzia civile. Ed è qui che entrate un gioco voi.
“Durante il colloquio con il presidente ho pensato a voi, che siete il meglio di entrambi i mondi: siete forze dell’ordine civili, ma impiegate moltissimi ex membri speciali dell’esercito. Il direttore dell’FBI ha dato l’OK alla vostra partecipazione, e Don è stato tanto gentile da organizzare subito questo incontro.”
Guardò tutto il gruppo. “Mi seguite finora?”
Ci fu un mormorio generale d’assenso.
Il colonnello controllava il monitor a parete dal portatile. Apparve una mappa della zona settentrionale dell’Alaska, insieme a una sottile parte del mar Glaciale Artico. Un puntino in mezzo all’acqua era cerchiato in rosso.
“È una situazione in rapido sviluppo. Quello che posso dirvi è che un’ora e mezzo fa, una piattaforma petrolifera nel Mar Glaciale Artico è stata attaccata e sopraffatta da un gruppo di uomini pesantemente armati. C’erano circa novanta operai a lavoro sulla piattaforma e nell’isola artificiale che la circonda, e non sappiamo quanti siano stati uccisi nell’attacco iniziale. Hanno anche preso degli ostaggi, ma non abbiamo idea del loro numero.”
“Chi sono gli aggressori?” chiese Luke.
Il generale scosse la testa. “Non lo sappiamo. Hanno rifiutato i nostri tentativi di contatto, ma ci hanno mandato un video degli operai riuniti in una stanza e tenuti sotto tiro da uomini mascherati in nero. La compagnia proprietaria della piattaforma ci ha fornito l’audio dei dispositivi di monitoraggio, e la qualità non è un granché ma si sentono alcune voci. Oltre all’inglese degli operai, ci sono persone che parlano in una lingua dell’est d’Europa, forse slavo, ma se non abbiamo prove per confermarlo.”
Sullo schermo, la mappa sparì per mostrare alcune immagini aeree della piattaforma