Se lei udisse. Блейк Пирс

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Se lei udisse - Блейк Пирс


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mai aiutata a vestirti» le disse. «È una fortuna che abbia fatto pratica con Michelle. Scommetto che lei non avrebbe mai pensato che sua nonna avrebbe avuto bisogno di aiuto per vestirsi.»

      «Sei sempre stata così spiritosa?»

      «Sì.»

      Uscirono insieme dalla camera per andare nel soggiorno. Kate si guardò intorno, sconvolta dalla pulizia e dal silenzio. «Dove sono Allen e Michael?»

      «Allen l’ha portato fuori per una passeggiata intorno all’isolato. Da tre giorni lo fa due volte al giorno.»

      «Dio, ero così fuori?»

      «Eh sì.» Melissa tolse il bollitore dal fornello e versò l’acqua calda nelle tazze, lì in attesa e munite delle bustine di tè. «Mamma… ce la farai?»

      «Credo di sì. Prima o poi. È solo che è soverchiante. E mi ha sfiancata.»

      «Pensavo di morire quando ho avuto Michelle. Non riesco a immaginare di partorire alla tua età.» Poi fece un sorrisetto e aggiunse: «Vecchiaccia.»

      «Sai» disse Kate «per certi versi con gli anni diventa più facile starti lontana.»

      Stavolta fu Melissa a scoppiare a ridere. Per Kate fu musica. Le scaldò il cuore in un modo che le era mancato. Tristemente, si accorse di non riuscire a ricordare l’ultima volta che aveva sentito Melissa ridere tanto.

      Le venne quindi da chiedersi che altro si fosse persa, che altro avesse dato per scontato.

***

      Il direttore Duran mantenne le distanze nei mesi che seguirono. Inviò un biglietto e un pacco di pannolini e salviette una settimana dopo la nascita di Michael, ma si astenne da email e telefonate. Kate apprezzò il gesto, ma cominciò a provare una certa inquietante sicurezza in merito al suo futuro al bureau. Avere un bambino a cinquantasette anni e diventare quindi una specie di celebrità del posto significava probabilmente la fine del lavoro.

      D’altra parte, non poteva non chiedersi se al bureau un po’ di pubblicità gratuita non potesse far bene. Non solo gratuita, ma edificante e non controversa, per una volta.

      Avrebbe voluto esserne felice, ma così non era. Cominciò a voler bene a Michael sempre più con ogni giorno che passava. C’erano state giornate in cui non lo sopportava, ma non erano durate molto. Dopotutto, il discorso di Melissa era corretto. Se lei e Allen fossero stati più attenti, non sarebbe rimasta incinta. Ma l’idea di attenzione che si aveva nel sesso a cinquantacinque anni tendeva a essere diversa rispetto a quella degli altri.

      Tre mesi dopo essere stata persuasa a scendere dal letto da Melissa, Kate era in grado di vedere quell’ultimo stadio della sua vita per quello che era. Sarebbe stata una vita di calma casalinga e nuovo apprendimento di ciò che significa essere madre. Sarebbe stato imparare ad amare e a fidarsi di un uomo non solo in merito alla sua vita, ma anche a quella del loro figlio.

      Alla fine, le stava bene. Cavoli, era sicura che ci fossero nonne che avrebbero fatto di tutto per provare la sensazione di essere di nuovo madre. Ed eccola qui, lei, con quella possibilità.

      Anche ad Allen sembrava stare bene. Non avevano ancora parlato di come sarebbe stato il resto della loro vita in termini di matrimonio e co-genitorialità. La amava ancora e sembrava assolutamente pazzo del piccolo Michael, ma molte volte pareva timoroso. Era come se corresse al di sotto di una scogliera, in attesa di essere colpito alla testa da una roccia da un momento all’altro.

      Kate non sapeva bene cosa lo infastidisse finché un mercoledì pomeriggio non le squillò il telefono. Era sul divano con Michael. Allen sollevò il telefono dal banco della cucina e glielo portò. Non stava sbirciando la schermata; era solo una cosa che adesso facevano, un livello di intimità che a lei stava benissimo.

      Però, quando le porse il telefono, aveva in volto un’espressione amara. Lei prese il telefono, lui prese Michael, e lei guardò la schermata rispondendo.

      Era Duran.

      Kate e Allen si guardarono negli occhi un momento e lei comprese la sua fatica.

      Col cuore a mille, rispose.

      Allen andò in cucina; l’ombra della roccia in caduta ingrandiva sempre di più, coprendolo completamente.

      CAPITOLO DUE

      Sandra Peterson si svegliò quindici minuti prima del trillo. Per alzarsi usava la stessa sveglia, impostata sulle sei e trenta, ogni mattina da un paio d’anni. Aveva sempre dormito bene, e riusciva a dormire dalle sette alle nove ore ogni notte senza mai svegliarsi in anticipo. Ma quella mattina era in preda all’entusiasmo. Kayla era tornata dal college e avrebbero trascorso tutta la giornata insieme.

      Era la prima volta che avevano più di mezza giornata tutta per loro da quando Kayla, l’anno precedente, aveva cominciato il college. Era a casa perché un’amica d’infanzia si sposava. Kayla era cresciuta ad Harper Hills, Carolina del Nord, una cittadina di campagna a una ventina di miglia da Charlotte, e aveva scelto di iscriversi al college di un altro stato il prima possibile. L’università statale della Florida faceva sì che i loro momenti insieme fossero rari. L’ultima volta si erano viste a Natale, quasi un anno prima e per appena dieci ore prima che Kayla partisse per far visita a suo padre nel Tennessee.

      Kayla aveva sempre gestito bene il divorzio. Sandra e il marito si erano lasciati quando aveva undici anni, e non era mai parsa soffrirne. Sandra immaginava che quella fosse una delle ragioni per cui Kayla non aveva mai preso le parti di nessuno. Quando andava a trovare un genitore, insisteva per andare anche dall’altro. E dato il viaggio tortuoso – da Tallahassee, ad Harper Hills, a Nashville – Kayla non veniva molto spesso.

      Sandra si trascinò fuori dalla camera in pigiama e pantofole. Percorse il corridoio verso la cucina, superando la stanza di Kayla. Non si aspettava che la figlia si svegliasse prima delle otto, e le stava bene. Sandra pensò di mettere su il caffè e preparare una bella colazione per il suo risveglio.

      E così fece, strapazzando uova, friggendo pancetta e preparando una dozzina di mini pancake. Per le sette in cucina c’era un bel profumino, e Sandra si sorprese che questo non avesse ancora svegliato Kayla. Quando Kayla era a casa funzionava, soprattutto alle superiori. Ma adesso i profumi della sua cucina apparentemente non avevano lo stesso effetto.

      Comunque Kayla era uscita con delle amiche la sera precedente – amiche che non vedeva dal diploma. A Sandra non sembrava giusto attenersi al vecchio coprifuoco adesso che era al college, quindi l’aveva semplicemente messa così: Torna a casa tutta intera e preferibilmente sobria.

      Mentre la mattinata arrancava verso le otto senza che Kayla uscisse, Sandra cominciò a preoccuparsi. Invece di bussare e rischiare di svegliarla, però, guardò fuori dalla finestra del soggiorno. Vide l’auto della figlia nel vialetto, parcheggiata appena dietro alla sua.

      Sollevata, riprese a preparare la colazione. Fu tutto pronto alle otto meno cinque. Odiava svegliare la figlia (era sicura che la cosa sarebbe stata vista come maleducata e scorretta), ma non poté proprio farne a meno. Forse dopo colazione Kayla avrebbe fatto un sonnellino e avrebbe riposato un po’ prima di dare il via alla giornata di shopping seguito da un pranzetto a due a Charlotte. E poi… le uova si sarebbero freddate e Kayla diceva sempre che le uova fredde facevano schifo.

      Sandra percorse il corridoio e raggiunse la camera di Kayla. Una cosa surreale e disagevole allo stesso tempo. Quante volte aveva bussato a quella porta nella sua vita adulta? Migliaia, sicuramente. Rifarlo le scaldò il cuore.

      Bussò, aspettò un attimo e poi aggiunse, con voce dolce: «Kayla, tesoro? La colazione è pronta.»

      Dall’interno non ci fu risposta. Si accigliò. Non era tanto ingenua da pensare che Kayla e le amiche la sera precedente non avessero bevuto. Non aveva mai visto la figlia ubriaca né con i postumi di una sbronza, e non voleva vedercela se poteva evitarlo. Si chiese se Kayla non avesse proprio i postumi; magari non si sentiva pronta ad affrontare la madre.

      «C’è il caffè» aggiunse Sandra, sperando di aiutarla.

      Ancora nessuna risposta. Bussò un’altra volta, stavolta più forte, e aprì la porta.

      Il letto era fatto alla perfezione.


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