La Corona Bronzea. Stefano Vignaroli

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La Corona Bronzea - Stefano Vignaroli


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lo affliggeva. Anche la vista gli era calata notevolmente e per la lettura si aiutava con una lente di vetro montata su un supporto metallico. A quel tempo erano pochi, infatti, coloro che possedevano degli occhiali, che dovevano giungere da Venezia ed erano assai costosi. Sollevò la testa dalle carte e rispose a Lucia con voce pacata, quasi rassegnata.

      «Vedete, mia Signora, ho studiato bene il caso, e mi sembra che ci siano molte, troppe incongruenze. Voi siete l’unica testimone, quindi dovrei fidarmi di quello che mi dite. Purtroppo, gli stessi fatti, raccontati da voi e raccontati da Mira, sono in netto contrasto. Voi asserite che vostro zio abbia sorpreso la vostra ancella a rubare nel suo studio. Ma, a parte i libri, lì c’era ben poco da rubare. E notoriamente, Mira non sa neanche leggere. Oltre tutto so bene che vostro zio teneva denari e preziosi in ben altre stanze. Credo invece che Mira sia entrata di proposito nello studio del Cardinale, sperando che, offrendogli il proprio corpo, sarebbe stata ben ricompensata.»

      «Cosa volete insinuare, Giudice?»

      «Non voglio insinuare niente. Cerco solo di ricostruire come sono andate le cose, e credo di essermi fatto bene il quadro della situazione. Vedete, abbiamo fatto esaminare da esperti il corpo di vostro zio, prima di ricomporlo per la sepoltura. A parte il fatto che non indossava le calze braghe, il Cardinale aveva il membro completamente ricoperto di una sostanza oleosa, un unguento. A detta degli esperti, trattasi di una sostanza a base di essenze vegetali, che solo le streghe sanno preparare. Ma veniamo al sangue di vostro zio. Voi dite che Mira lo aveva ferito in maniera leggera con un coltello, anzi, con un tagliacarte. Ma di sangue ce n’era in abbondanza, sparso per tutto lo studio, e poi intorno al cadavere, tanto che sembra che il Cardinale, più che per la caduta, sia morto dissanguato. Una sola ferita, ma che ha raggiunto in maniera precisa un importante vaso sanguigno. E quello che è strano è che Mira sarebbe dovuta essere molto più sporca di sangue di quanto non l’abbiamo trovata. Aveva sì i vestiti sporchi, ma se aveva colpito con tale precisione, doveva avere mani e braccia lorde di sangue. E invece così non era! E i vestiti? Non erano propriamente i vestiti di un’ancella, erano vestiti di più importante fattezza.»

      «E da tutto questo cosa ne avete dedotto?», chiese Lucia, con la voce che iniziava quasi a tremare, per il timore che l’Uberti stesse per snocciolare la storia che la incolpava della morte del suo zio.

      «Vedete», e il Giudice mise una mano sopra il Malleus Maleficarum. «Questo libro, fornitomi da Padre Ignazio Amici, mi ha illuminato. Scritto da due inquisitori tedeschi, Jacob Sprenger e Heinrich Insitor Kramer, qualche decennio fa, esso indica come riconoscere le streghe, a prescindere dai loro poteri. Tutte possono essere riconosciute da un segno indelebile che portano sulla pelle, un neo, una macchia, una voglia o una cicatrice, spesso nascosto dai peli delle ascelle, del pube, o magari dai capelli. Ecco perché gli Inquisitori, come prima cosa, fanno denudare la strega e le fanno rasare tutti i peli, per poter evidenziare questo segno. Ma per Mira questo non è stato neanche necessario. Lei ha un evidente neo in corrispondenza del labbro superiore, proprio sotto il naso, sopra il quale addirittura crescono dei peli. Padre Ignazio afferma che quello è un segno inequivocabile, e io, dopo aver letto questo testo, convengo con lui.»

      «E tutto questo cosa avrebbe a che fare con la morte di mio zio?»

      «Ne ha a che fare, più di quanto voi, anche come testimone, possiate immaginare. Il fatto che Mira sia una strega è confermato non solo dal neo, ma anche dalle vesti che indossava quel giorno. I soliti esperti che abbiamo interpellato ci hanno confermato che quelli sono abiti che indossano le streghe più potenti, abiti tramandati da generazione in generazione, da madre a figlia. E veniamo dunque alla ricostruzione dei fatti, come ormai è chiaro siano realmente avvenuti. Mira, forte dei suoi poteri, entra nello studio del Cardinale, con la chiara intenzione di sedurlo e di ammaliarlo. Lo scopo è quello di ottenere denari, molti denari, in cambio della prestazione amorosa. Il Cardinale ci cade, si lascia sedurre, si toglie le calze braghe e si prepara a giacere con la vostra ancella. Ma lei vuol aumentare ancor di più l’appagamento dei sensi della sua vittima, e usa l’unguento, per indurlo a un maggior piacere, e di conseguenza a una maggiore elargizione in denaro. Solo che quell’unguento, in dosi giuste aumenta il piacere della carne, ma in dosi eccessive provoca allucinazioni e visioni. No, Mira non vuole uccidere il Cardinale, è l’ultima delle sue intenzioni: non si uccide la gallina che produce le uova d’oro. Ma la situazione ormai le è sfuggita di mano. Chi ha impugnato il coltello per primo? Forse il Cardinale in preda all’obnubilazione, magari per fingere di minacciare la ragazza in un crescendo di gioco erotico. E lo usa anche per tagliarle le vesti al fine di denudarla. Ed ecco che allora la strega, sentendosi troppo a rischio, fa appello ai suoi poteri. Non tocca il coltello, ma lo guida con la forza magica dei suoi oscuri poteri. Solo con la forza del suo pensiero lo lancia contro la spalla del Baldeschi, in un punto ben preciso. Una sola ferita, ma mortale.»

      «E poi?»

      «E poi, il tocco finale. Apre la finestra e fa precipitare il Cardinale giù dal balcone, addirittura inducendolo a credere che fosse in grado di volare. E quindi, come giudicare questa donna? Quale punizione merita? Non è stata, come dite voi, semplice difesa. Sia pure che all’inizio non era sua volontà, ha ucciso, e lo ha fatto a ragion veduta. Per di più, grazie all’uso di poteri non comuni a tutti, ma specifici di donne che noi chiamiamo streghe. STREGHE! La morte è la meritata fine per un’assassina come lei. La decapitazione. Ma se è una strega, sappiamo bene che la fine che merita è un’altra.»

      «No!», esclamò Lucia, che sentiva il cuore batterle forte nel petto al solo pensiero di vedere Mira agonizzante al di là di un muro di fiamme.

      Proprio in quel momento, un grido più forte, proveniente dalla sala delle torture, giunse alle sue orecchie.

      «Basta così, giudice! Conducetemi immediatamente nella stanza dove stanno torturando quella poveraccia. Quest’orrore deve avere termine subito!»

      «Non ve lo consiglio, non è un bello spettacolo a cui assistere. Padre Ignazio e i suoi torturatori non si faranno certo intimidire dalle parole di una donzella, per quanto nobile sia…»

      «È un ordine. Conducetemi nella sala delle torture!»

      Il Giudice, intuendo che la giovane sapeva il fatto suo e che poteva avvalersi dei poteri che gli spettavano di diritto, per essere la discendente del Cardinal Baldeschi, nonché la promessa sposa di colui che ufficialmente sarebbe dovuto essere designato Capitano del Popolo, abbassò la testa e obbedì a Lucia. Guidò la giovane per scale e corridoi semibui, fino a raggiungere una possente porta, davanti alla quale due energumeni armati di lance sbarravano il passo a chiunque. Le grida di Mira erano ora vicinissime. A un cenno del giudice, i due sgherri si misero di lato e aprirono la porta. A Lucia sembrò di essere giunta all’inferno. La sua ancella Mira era stata legata sopra un tavolaccio, completamente nuda, con le braccia e le gambe divaricate a formare il disegno di una croce di Sant’Andrea. I peli del pube e delle ascelle le erano stati rasati e ora, mentre uno dei torturatori tirava le catene legate ai polsi e alle caviglie della ragazza mettendo in tensione le articolazioni di gambe e braccia fin quasi a slogarle, un altro, con delle grosse forbici, le stava tagliando i capelli, gettandoli in un braciere acceso. Nello stesso braciere, che emanava un fumo pestilenziale, erano stati messi diversi arnesi di tortura perché si arroventassero. Lucia, nonostante lacrimasse sia a causa del fumo che dello spettacolo cui si era trovata improvvisamente ad assistere, scorse Padre Ignazio Amici prelevare dal braciere una grossa tenaglia e avvicinare le branche incandescenti di quest’ultima a uno dei seni di Mira. Se non l’avesse fermato in tempo, le avrebbe afferrato il capezzolo con la pinza, arrivando fino a staccarglielo.

      «Pervertito di un prete che non siete altro. Fermatevi. Che state facendo?», e gli afferrò il braccio che reggeva la pesante tenaglia.

      Il Domenicano si girò e, con un sorriso sadico stampato in viso, riconobbe la giovane Lucia Baldeschi.

      «Ah, mia Signora. Siete venuta ad assistere alla confessione della vostra ancella? Benvenuta! Ci siamo quasi, ancora poco e ammetterà tutte le sue colpe. In fin dei conti, siete voi che l’avete accusata ed è giusto che siate presente nel momento in cui si condannerà da sola.»

      Visto che il Domenicano si era fermato, il torturatore che aveva tagliato i capelli all’inquisita, aveva preso


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