Obiettivo Zero . Джек Марс

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Obiettivo Zero  - Джек Марс


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L’immodesto indumento lo avrebbe solo ostacolato, quindi se lo tolse con uno strattone, rimanendo sfrontatamente nudo nella stanza.

      Con la punta della penna nel pugno, prese posizione appena dietro la porta aperta, ed emise un basso fischio.

      L’improvviso raschio delle gambe delle sedie gli disse che entrambi gli uomini lo avevano sentito e si erano alzati. La stazza di Luca riempì la porta, mentre l’uomo scrutava dentro la stanza buia.

      “Mein Gott!” mormorò quando entrò e vide il letto vuoto.

      Francis lo seguì, con la mano sulla fondina della pistola.

      Non appena l’agente più anziano ebbe varcato la soglia, Rais fece un balzo avanti. Spinse la punta della penna nella gola di Luca e la torse, aprendogli la carotide. Il sangue spruzzò copioso dalla ferita aperta, e in parte schizzò sul muro davanti.

      Lasciò andare la punta e assalì Francis, che stava cercando di liberare la pistola. Sgancia, estrai dalla fondina, togli la sicura, punta: la reazione della guardia più anziana era lenta, e gli costò diversi preziosi secondi che semplicemente non aveva.

      Rais gli sferrò due colpi, il primo verso l’alto appena sotto l’ombelico, seguito subito da uno verso il basso al plesso solare. Uno gli riempì i polmoni d’aria, mentre l’altro lo costrinse bruscamente a esalare, e sul suo fisico confuso ebbero un effetto così scioccante e inaspettato da fargli appannare la vista e perdere i sensi.

      Francis barcollò, non riuscendo più a respirare, e cadde in ginocchio. Rais si portò con una piroetta alle sue spalle, e con un gesto fluido gli spezzò il collo.

      Luca si stava stringendo la gola con entrambe le mani mentre sanguinava, emettendo gorgoglii e leggeri ansimi. Rais lo guardò e contò fino a undici, quando finalmente l’uomo svenne. Senza fermare il flusso sanguigno sarebbe morto in meno di un minuto.

      Sfilò le pistole a entrambe le guardie e le appoggiò sul letto. La fase seguente del suo piano non sarebbe stata semplice: doveva sgattaiolare lungo il corridoio, senza essere visto, fino al ripostiglio dove erano conservati i camici di ricambio. Non poteva lasciare l’ospedale nell’uniforme di Francis, era troppo riconoscibile, né in quella di Luca che ormai era fradicia di sangue.

      Udì una voce maschile in fondo al corridoio e si fermò.

      Era l’altro agente, Elias. Così presto? Fu assalito dall’ansia. Poi sentì una seconda voce, quella dell’infermeria notturna, Elena. A quanto pareva il ragazzo aveva saltato la pausa sigaretta per chiacchierare con la giovane e attraente infermiera, e ora entrambi erano diretti verso la sua stanza. Sarebbero arrivati in pochi secondi.

      Avrebbe preferito non dover uccidere la donna. Ma se doveva scegliere tra lei e se stesso, Elena non avrebbe avuto scampo.

      Afferrò una delle pistole dal letto. Era una Sig P220, tutta nera, calibro 45. La strinse nella mano sinistra. Il suo peso era gradevole e familiare, come una vecchia fiamma. Con la destra strinse la metà aperta delle manette. E poi rimase in attesa.

      Le voci nel corridoio si ammutolirono.

      “Luca?” chiamò Elias. “Francis?” Il giovane agente aprì la chiusura della fondina e mise la mano sulla pistola, entrando nella camera buia. Elena si insinuò dietro di lui.

      Gli occhi dell’agente si sgranarono per l’orrore alla vista dei due cadaveri.

      Rais abbatté il gancio delle manette aperte nel lato del collo del giovane uomo, e poi tirò il braccio all’indietro. Il metallo gli morse il polso e le ferite nella schiena bruciarono, ma lui ignorò il dolore e tagliò la gola dell’agente. Il sangue schizzò in enorme quantità e colò su di lui.

      Con la mano sinistra premette la Sig alla fronte di Elena.

      “Non gridare,” disse in fretta e a bassa voce. “Non chiamare nessuno. Rimani zitta e vivrai. Fai un rumore e morirai. Hai capito?”

      Dalle labbra di Elena si alzò uno squittio, e la donna cercò di soffocare il singhiozzo che seguì. Annuì, con gli occhi pieni di lacrime, mentre Elias cadeva in avanti sulle piastrelle del pavimento.

      Lui la studiò da capo a piedi. Era minuta, ma il suo camice era largo e aveva la vita elastica. “Togliti i vestiti,” le disse.

      La donna spalancò la bocca in preda al terrore.

      Rais emise un suono sdegnato. Poteva capire la sua confusione, certo, dopo tutto era ancora nudo. “Non sono quel tipo di mostro,” le garantì. “Mi servono solo i vestiti. Non te lo chiederò di nuovo.”

      Tremando, la giovane donna si sfilò la casacca e si tolse i pantaloni, abbassandoseli sopra le scarpe da ginnastica bianche, in piedi nella pozza del sangue di Elias.

      Rais li prese e li indossò, facendo una certa fatica dovendo usare una mano sola, dato che aveva la Sig puntata sulla ragazza. Gli abiti erano stretti, e i pantaloni un po’ corti, ma sarebbero bastati. Infilò la pistola dietro l’elastico delle brache, e recuperò l’altra arma dal letto.

      Elena era rimasta in biancheria, e si stringeva il torace con le braccia. Rais lo notò; prese il suo camice d’ospedale e glielo tese. “Copriti. Poi sali sul letto.” Mentre lei faceva come gli aveva ordinato, trovò un anello di chiavi alla cintura di Luca e si aprì l’altra manetta. Poi passò la catena attorno a una delle sponde del letto e ammanettò le mani della donna.

      Appoggiò le chiavi all’estremità del comodino, lontano dalla sua portata. “Arriverà qualcuno a liberarti dopo che me ne sarò andato,” le disse. “Ma prima ho delle domande. Mi serve che tu sia sincera, perché se non lo sarai, tornerò a ucciderti. Lo capisci?”

      Lei annuì freneticamente, con la guance rigate dalle lacrime.

      “Quanti altri infermieri ci sono in questo reparto stanotte?”

      “Ti prego, non far loro del male,” balbettò la donna.

      “Elena. Quanti altri infermieri sono in questo reparto, stanotte?” ripeté Rais.

      “Du-due…” Tirò su con il naso. “Thomas e Mia. Ma Tom è in pausa. Dovrebbe essere al piano di sotto.”

      “Okay.” Il cartellino con il nome appeso al petto di Rais era delle dimensioni di una carta di credito. C’era una piccola foto di Elena, e sull’altro lato era attraversato per il lungo da una striscia nera. “Quest’unità di sera viene chiusa a chiave? E il tuo badge è la chiave?”

      Lei annuì e tirò di nuovo su con il naso.

      “Bene.” Si infilò la seconda pistola nell’elastico dei pantaloni e si inginocchiò vicino al corpo di Elias. Gli sfilò entrambe le scarpe e ci spinse dentro i piedi. Erano un po’ strette, ma abbastanza vicine al suo numero da poterle usare per la fuga. “Un’ultima domanda. Sai che cosa guida Francis? La guardia notturna?” Indicò l’uomo morto nell’uniforme bianca.

      “No-non ne sono sicura. Un… un pick-up, credo.”

      Rais frugò nelle tasche del cadavere e ne sfilò un mazzo di chiavi. Ce n’era elettronica; ciò lo avrebbe aiutato a trovare il veicolo. “Grazie per la tua onestà,” le disse. Poi strappò un angolo del lenzuolo e glielo infilò in bocca.

      Il corridoio era vuoto e ben illuminato. Rais aveva la Sig in mano ma la teneva nascosta dietro la schiena mentre avanzava. Il corridoio si apriva su un ampio piano occupato dalla postazione a forma di U delle infermiere, e al di là di quella, l’uscita del reparto. Una donna con occhiali dalla montatura rotonda e un caschetto moro stava scrivendo a un computer, con la schiena rivolta verso di lui.

      “Girati, per favore,” le disse.

      La donna sorpresa si voltò e si trovò davanti il loro paziente/prigioniero con indosso un camice e un braccio insanguinato, che le stava puntando una pistola. Rimase senza fiato e strabuzzò gli occhi.

      “Tu devi essere Mia,” disse Rais. L’infermiera sembrava sulla quarantina, con un aspetto materno, e cerchi scuri sotto gli occhi sgranati. “Mani in alto.”

      Lei obbedì.

      “Che cosa è successo a Francis?”


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