Il Quadriregio. Frezzi Federico

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Il Quadriregio - Frezzi Federico


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piena di spine senz'alcun sentiero.

      Se sol di notte non avea paura,

       35 Amor è quel che da fortezza altrui

       nelle fatiche e l'animo assicura.

      Tra l'aspre selve e tra li boschi bui

       tutta la notte andai cercando intorno

       insin che in un vallon venuto fui.

      40 E quasi su nel cominciar del giorno

       trovai un mostro, maladetta fera,

       coll'arco in mano, e avea al petto un corno.

      Il petto e 'l volto suo tutto d'uomo era,

       il dosso avea caprin fino alla coda,

       45 con quattro piedi e colla pelle nera.

      Un satiro era questo pien di froda:

       e satir detti son malvagi e falsi,

       che fanno inganni con lusinghe e loda.

      E fauni ancora stan tra quelli balsi

       50 ed hanno umani i petti ed anco i volti;

       l'altro è bovino, e vanno nudi e scalsi.

      E semicervi ancora vi son molti,

       ingannatori ed animal perversi,

       pur ch'altri con lor usi e che gli ascolti.

      55 Dal satir, che scontrai, con dolci versi

       sí lusingato fui e sí sottratto,

       che tutto il mio amor gli discopersi.

      Ché quando vidi un mostro cosí fatto,

       in man per mia difesa presi il dardo,

       60 che la bella Filena a me avíe tratto.

      Ed egli il riconobbe al primo sguardo

       ch'io l'avea dalla ninfa di Diana;

       onde parlò come falso e bugiardo:

       p. 17

       —Onde vien' tu in questa selva strana?

       65 Di', che ti move e, dimmi, qual è il fine,

       pel qual tu vai per questa via lontana?—

      Ed io a lui:—Tra cespi e dure spine

       smarrito vo, ed or son qui venuto

       come chi va, né sa dove cammine.

      70 Ma tu, che se' mezz'uomo e mezzo bruto,

       mi fai maravegliar quando io ti guato,

       ché sí fatto uom non fu giammai veduto.

      —Io fui pur uom—rispose—innamorato

       di dea Diana, e vagheggiaila ognora,

       75 e da lei 'n questa forma fui mutato;

      ch'ella pregò lo dio, ch'altru' innamora,

       che a ciò rimediasse, e me percosse

       del dardo ch'è di piombo e disamora.

      Questo ogni amor mi tolse e via rimosse;

       80 e però quella dea a me permette

       ch'i' possa gire a lei unque ella fosse.

      Insieme vo con le sue giovinette

       fra questi monti, insieme con lor coglio

       li fior, che stanno in su le verdi erbette.

      85 A chiunque è innamorato anche ho cordoglio,

       che ricordo le pene, ch'io provai

       del falso Amor, del quale ancor mi doglio.

      E se tu mi dirai dove tu vai,

       forse t'aiuterò, se mi richiedi

       90 e se sei saggio e secreto il terrai.—

      O vano amor, oh quanto ratto credi

       quel che vorresti! Alle parole udite

       ed al modo del dir fede gli diedi.

      Ed io a lui:—Per queste vie smarrite

       95 cercando vo le ninfe, ov'elle stanno:

       prego, se 'l sai, me diche ove son ite.—

      Rispose ancor con falsitá ed inganno:

       —Elle sonno ite in un lontan paese,

       al qual non potrest'ir per grave aflanno.

       p. 18

       100 Ma, se tu ami, perché nol palese

       a me, che sai che ho provato l'arme

       del fier Cupido e le saette accese?

      —Satiro mio—diss'io,—se puoi aitarme,

       io te 'l dirò, se prima tu mi giuri

       105 tener credenza e ch'io possa fidarme.

      —Perché non di', perché non t'assecuri?

       —rispose il falso.—Or non sai tu che io

       di piombo e d'òr sentito ho i dardi duri?

      Io ti prometto e giuro innanzi a Dio

       110 di tenerti secreto e d'aiutarte

       e conducer la ninfa al tuo desio.—

      Cosí mi disse con malizia ed arte;

       ond'io m'apersi e dissi con gran pena:

       —Vo cercando una ninfa in ogni parte,

      115 bella e gentile, chiamata Filena;

       per ritrovarla entrai per questo bosco;

       la sua beltá dirieto a lei mi mena.

      Tra questi spin, che son piú amar che tòsco,

       soletto per parlargli io mi son messo,

       120 ché piú piacente cosa io non conosco.

      —Ed io farò—diss'ei—quel ch'i' ho promesso;

       ch'io anderò co' mie' veloci piei

       ove la ninfa sta molto da cesso.

      Ma perché essa creda a' detti miei,

       125 il dardo, che hai in man, mi dá' per segno,

       perché segretamente il mostri a lei.

      Con mie parole e mio usato ingegno

       farò ch'ella verrá in un bosco sola,

       e tu girai a lei quand'i' rivegno.—

      130 Io gli die' 'l dardo per questa parola,

       ed ei ghignò alquanto e poi saltando

       andò veloce come uccel che vola.

      Forse sei ore avea aspettato, quando

       io vidi Rifa mia fida messaggia,

       135 e quando a lei fui presso, io la domando:

       p. 19

       —Dov'è Filena bella, onesta e saggia?

       Per lei cercato ho il bosco in ogni canto,

       e gito in ogni scheggia, in ogni piaggia.—

      Ella rispose con singolti e pianto:

       140 —Piú non appar la misera tapina;

       come tu contra lei errato hai tanto?

      Quella biforme bestia, ch'è caprina,

       dianzi venne a noi, correndo in fretta,

       'nanti alle ninfe ed alla lor regina,

      145 e mostrò lor lo dardo over saetta,

       che balestrò Filena a te dal monte,

       e la scrittura «Io t'amo» è tutta letta.

      Per la vergogna ella abbassò la fronte,

      


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