Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 4. Edward Gibbon

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 4 - Edward Gibbon


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Se Teofilo Vescovo d'Antiochia (Vedi Dupin Bibl. Eccl. Tom. I. p. 66) fu il primo, che usasse la parola Triade o Trinità, termine astratto già famigliare nelle scuole di filosofia, dev'essersi questo introdotto nella teologia de' Cristiani dopo la metà del secondo secolo.

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Atanasio Tom. I. p. 808. Le sue espressioni hanno una singolar energia, e siccome egli scriveva a' Monaci, non vi potea essere alcun motivo per affettare un linguaggio ragionevole.

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In un Trattato, che avea per oggetto di spiegar le opinioni degli antichi Filosofi sulla natura degli Dei, avremmo potuto prometterci di veder esposta la teologica Trinità di Platone. Ma Cicerone molto ingenuamente confessa, che sebbene avesse tradotto il Timeo, non aveva mai potuto capire quel misterioso dialogo. (Vedi Hieronym. Praef. ad lib. XII in Isaiam Tom. V. p. 154).

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Tertulliano in Apolog. c. 46. Vedi Bayle Diction. alla parola Simonide. Le sue osservazioni sulla presunzione di Tertulliano sono profonde ed interessanti.

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Lactant. IV. 8. Pure la parola Probole, o Prolatio, che i più ortodossi Teologi presero senza scrupolo da' Valentiniani, ed illustrarono co' paragoni d'una fontana e del suo corso, del sole e de' suoi raggi ec. o non significa niente, o favorisce un'idea materiale della divina generazione. Vedi Beausobre (Tom. I, lib. III c. 7. p. 548).

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Molti de' primitivi Scrittori hanno francamente confessato, che il Figlio doveva l'essere alla volontà del Padre. Vedi Clarke (Script. Trinit. p. 280-287). Dall'altra parte sembra che Atanasio ed i suoi seguaci non voglian concedere quel che hanno timor di negare. Gli scolastici si sbrigano da questa difficoltà con la distinzione fra la volontà precedente e la concomitante. Petavio Dogm. Theol. Tom. II. lib. VI c. 8, p. 587-603.

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Vedi Petavio Dogm. Theol. T. II. l. II. c. 10. p. 159.

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Carmenque Christo quasi Deo dicere secum invicem. Plin. (Epist. X 97). Le Clerc (Ars crit. p. 150-156) esamina criticamente il senso della parola Deus, Θεοϛ Elohim negl'idiomi antichi; ed il Sociniano Emlyn (Tract. p. 29, 36, 51-145) abilmente difende la proprietà del culto verso una molto eccellente creatura.

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Vedi Dalleo De us. Patr. e le Clerc Bibliot. univ. Tom. X p. 409. Lo scopo della stupenda opera del Petavio sulla Trinità (Dogm. Theol. Tom. II) fu d'attaccare la fede de' Padri Antiniceni, o almeno tale n'è stato l'effetto; nè questa profonda impressione si è cancellata dall'erudita difesa del Vescovo Bull.

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Le formule di fede più antiche furono estese alla massima ampiezza. Vedi Bull (Judic. Eccl. Cath.), che tenta d'impedir Episcopio dal trarre alcun vantaggio da quest'osservazione.

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L'eresie di Prassea, di Sabellio ec. son esposte con esattezza dal Mosemio p. 425, 680-714. Prassea, che venne a Roma verso il fine del secondo secolo, ingannò per qualche tempo la semplicità del Vescovo, e fu confutato dalla penna del fervido Tertulliano.

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Socrate confessa, che l'eresia d'Arrio nacque dal forte desiderio, che aveva, di opporsi più diametralmente che fosse possibile all'opinione di Sabellio.

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Si dipingono da Epifanio Tom. I. Haeres 69. 3. p. 279, con colori molto vivaci la figura ed i costumi d'Arrio, il carattere e il numero de' suoi primi proseliti; e non possiamo fare a meno di dolerci ch'esso tosto abbandoni il carattere d'Istorico per assumer quello di Controversista.

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Vedi Filostorgio lib. I. c. 3, e l'ampio Comentario del Gottofredo. L'autorità però di Filostorgio vien diminuita agli occhi degli Ortodossi per causa del suo Arrianismo; ed a quegli de' critici ragionevoli a motivo della sua passione, della sua ignoranza e de' suoi pregiudizj.

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Sozomeno (lib. I. c. 15.) rappresenta Alessandro come indifferente ed anche ignorante in principio della disputa; mentre Socrate (lib. I.) ne attribuisce l'origine alla vana curiosità delle sue teologiche speculazioni. Il Dottor Jortin (Osserv. sull'Ist. Eccl. vol. II. p. 178) ha censurato con la solita sua libertà la condotta d'Alessandro πρὸϛ ὁργήν ἑξκπτεται… ὁμότωϛ φρόνειν ἑκελέυσε (s'accende di sdegno… comanda che si pensi come egli pensa).

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Le fiamme dell'Arrianismo poterono per qualche tempo ardere occulte; ma v'è ragione di credere, che si manifestassero con violenza sin dall'anno 319. Tillemont Mem. Ecc. Tom. VI. p. 774-780.

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Quis crediderit? Certe aut tria nomina audiens tres Deos esse credidit, et idolatra effectus est; aut in tribus vocabulis trinominem credens Deum in Sabellii haeresim incurrit; aut edoctus ab Arrianis unum esse verum Deum Patrem, Filium et Spiritum S., credidit creaturas. Aut extra haec quid credere potuerit, nescio. Hieron. adv. Luciferian. Girolamo riserva all'ultimo il sistema ortodosso, ch'è più complicato e difficile.

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Siccome s'introdusse appoco appoco fra' Cristiani la dottrina dell'assoluta creazione dal niente (Beausobre Tom. II. p. 165-215), così la dignità dell'artefice s'elevò assai naturalmente insieme con quella dell'opera.

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Le teorie metafisiche del Dottor Clarke (script. Trinit. p. 276-280) potrebbero ammettere un'eterna generazione da una causa infinita.

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S'usa questa profana ed assurda similitudine da' varj de' primitivi Padri, specialmente da Atenagora nella sua apologia all'Imperator Marco ed al suo figlio; e vien citata senza censura da Bull medesimo. Vedi Defens. Fid. Nic. S. III. c. 5. n. 4.

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Vedi Cudworth Intell. syst. p. 559. 579. Questa pericolosa ipotesi fu favorita dai due Gregorj, Nisseno e Nazianzeno, da Cirillo Alessandrino, da Giovanni Damasceno ec. Vedi Cudworth. p. 603. e Le Clerc. Bibl. univ. Tom. XVIII. p. 97-105.

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Sembra, che Agostino invidii la libertà de' Filosofi; Liberis verbis loquuntur philosophi… Nos autem non dicimus duo vel tria principia, duos vel tres Deos; de Civ. Dei X. 23.

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Boezio, ch'era profondamente versato nella filosofia di Platone e d'Aristotile, spiega l'unità della Trinità mediante l'indifferenza delle tre persone. Vedi le giudiziose osservazioni del Le Clerc, Biblioth. Chois. Tom. XVI. p. 225.

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Se i Sabelliani rigettavano tal conclusione, venivano tratti in un altro precipizio, cioè a confessare, che il Padre era nato da una Vergine, e che aveva sofferto sulla Croce; e così meritavan l'odioso titolo di Patropassiani, con cui furono infamati da' loro nemici. Vedi le invettive di Tertulliano contro Prassea, e le moderate riflessioni di Mosemio p. 423, 681, 3 e Beausobre Tom. I. lib. III. c. 6. p. 533.

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I fatti del Concilio Niceno son riferiti dagl'antichi non solo in un modo parziale, ma anche molto imperfetto. Una pittura, quale ne avrebbe fatto Fra Paolo, non è da sperarsi; ma quelle rozze ombreggiature, che si delinearono dal pennello della bacchettoneria e da quello della ragione, possono vedersi appresso il Tillemont Mem. Eccl. Tom. VI. p. 669-759 ed il Le Clerc Biblioth. univ. Tom. X. p. 435-454.

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Siam debitori ad Ambrogio (de Fid. lib. III. c. alt.) della cognizione di questo curioso aneddoto. Hoc verbum posuerunt Patres, quod viderunt adversariis esse formidini: ut tamquam evaginato ab ipsis


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