Orlando Furioso. Lodovico Ariosto

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Orlando Furioso - Lodovico Ariosto


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studi più grati,

      che suoni, danze, odori, bagni e cibi:

      ma come i pensier tuoi meglio formati

      poggin più ad alto, che per l'aria i nibi,

      e come de la gloria de' beati

      nel mortal corpo parte si delibi. —

      Così parlando il marinar veniva,

      lontano ancora alla sicura riva;

48

      quando vide scoprire alla marina

      molti navili, e tutti alla sua volta.

      Con quei ne vien l'ingiuriata Alcina;

      e molta di sua gente have raccolta

      per por lo stato a se stessa in ruina,

      o racquistar la cara cosa tolta.

      E bene è amor di ciò cagion non lieve,

      ma l'ingiuria non men che ne riceve.

49

      Ella non ebbe sdegno, da che nacque,

      di questo il maggior mai, ch'ora la rode;

      onde fa i remi sì affrettar per l'acque,

      che la spuma ne sparge ambe le prode.

      Al gran rumor né mar né ripa tacque,

      ed Ecco risonar per tutto s'ode.

      – Scuopre, Ruggier, lo scudo, che bisogna;

      se non, sei morto, o preso con vergogna. —

50

      Così disse il nocchier di Logistilla:

      ed oltre il detto, egli medesmo prese

      la tasca e da lo scudo dipartilla,

      e fe' il lume di quel chiaro e palese.

      L'incantato splendor che ne sfavilla,

      gli occhi degli aversari così offese,

      che li fe' restar ciechi allora allora,

      e cader chi da poppa e chi da prora.

51

      Un ch'era alla veletta in su la rocca,

      de l'armata d'Alcina si fu accorto;

      e la campana martellando tocca,

      onde il soccorso vien subito al porto.

      L'artegliaria, come tempesta, fiocca

      contra chi vuole al buon Ruggier far torto:

      sì che gli venne d'ogni parte aita,

      tal che salvò la libertà e la vita.

52

      Giunte son quattro donne in su la spiaggia,

      che subito ha mandate Logistilla:

      la valorosa Andronica e la saggia

      Fronesia e l'onestissima Dicilla

      e Sofrosina casta, che, come aggia

      quivi a far più che l'altre, arde e sfavilla.

      L'esercito ch'al mondo è senza pare,

      del castello esce, e si distende al mare.

53

      Sotto il castel ne la tranquilla foce

      di molti e grossi legni era una armata,

      ad un botto di squilla, ad una voce

      giorno e notte a battaglia apparecchiata.

      E così fu la pugna aspra ed atroce,

      e per acqua e per terra, incominciata;

      per cui fu il regno sottosopra volto,

      ch'avea già Alcina alla sorella tolto.

54

      Oh di quante battaglie il fin successe

      diverso a quel che si credette inante!

      Non sol ch'Alcina alor non riavesse,

      come stimossi, il fugitivo amante;

      ma dele navi che pur dianzi spesse

      fur sì, ch'a pena il mar ne capia tante,

      fuor de la fiamma che tutt'altre avampa,

      con un legnetto sol misera scampa.

55

      Fuggesi Alcina, e sua misera gente

      arsa e presa riman, rotta e sommersa.

      D'aver Ruggier perduto, ella si sente

      via più doler che d'altra cosa aversa:

      notte e dì per lui geme amaramente,

      e lacrime per lui dagli occhi versa;

      e per dar fine a tanto aspro martire,

      spesso si duol di non poter morire.

56

      Morir non puote alcuna fata mai,

      fin che 'l sol gira, o il ciel non muta stilo.

      Se ciò non fosse, era il dolore assai

      per muover Cloto ad inasparle il filo;

      o, qual Didon, finia col ferro i guai;

      o la regina splendida del Nilo

      avria imitata con mortifer sonno:

      ma le fate morir sempre non ponno.

57

      Torniamo a quel di eterna gloria degno

      Ruggiero; e Alcina stia ne la sua pena.

      Dico di lui, che poi che fuor del legno

      si fu condutto in più sicura arena,

      Dio ringraziando che tutto il disegno

      gli era successo, al mar voltò la schiena;

      ed affrettando per l'asciutto il piede,

      alla rocca ne va che quivi siede.

58

      Né la più forte ancor né la più bella

      mai vide occhio mortal prima né dopo.

      Son di più prezzo le mura di quella,

      che se diamante fossino o piropo.

      Di tai gemme qua giù non si favella:

      ed a chi vuol notizia averne, è d'uopo

      che vada quivi; che non credo altrove,

      se non forse su in ciel, se ne ritruove.

59

      Quel che più fa che lor si inchina e cede

      ogn'altra gemma, è che, mirando in esse,

      l'uom sin in mezzo all'anima si vede;

      vede suoi vizi e sue virtudi espresse,

      sì che a lusinghe poi di sé non crede,

      né a chi dar biasmo a torto gli volesse:

      fassi, mirando allo specchio lucente

      se stesso, conoscendosi, prudente.

60

      Il chiaro lume lor, ch'imita il sole,

      manda splendore in tanta copia intorno,

      che chi l'ha, ovunque sia, sempre che vuole,

      Febo, mal grado tuo, si può far giorno.

      Né mirabil vi son le pietre sole;

      ma la materia e l'artificio adorno

      contendon sì, che mal giudicar puossi

      qual de le due eccellenze maggior fossi.

61

      Sopra gli altissimi archi, che puntelli

      parean che del ciel fossino a vederli,

      eran giardin sì spaziosi e belli,

      che


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