Orlando Furioso. Lodovico Ariosto

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Orlando Furioso - Lodovico Ariosto


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sempre giunga in un diaspro,

      non può tagliar lo scoglio duro ed aspro.

105

      Simil battaglia fa la mosca audace

      contra il mastin nel polveroso agosto,

      o nel mese dinanzi o nel seguace,

      l'uno di spiche e l'altro pien di mosto:

      negli occhi il punge e nel grifo mordace,

      volagli intorno e gli sta sempre accosto;

      e quel suonar fa spesso il dente asciutto:

      ma un tratto che gli arrivi, appaga il tutto.

106

      Sì forte ella nel mar batte la coda,

      che fa vicino al ciel l'acqua inalzare;

      tal che non sa se l'ale in aria snoda,

      o pur se 'l suo destrier nuota nel mare.

      Gli è spesso che disia trovarsi a proda;

      che se lo sprazzo in tal modo ha a durare,

      teme sì l'ale inaffi all'ippogrifo,

      che brami invano avere o zucca o schifo.

107

      Prese nuovo consiglio, e fu il migliore,

      di vincer con altre arme il mostro crudo:

      abbarbagliar lo vuol con lo splendore

      ch'era incantato nel coperto scudo.

      Vola nel lito; e per non fare errore,

      alla donna legata al sasso nudo

      lascia nel minor dito de la mano

      l'annel, che potea far l'incanto vano:

108

      dico l'annel che Bradamante avea,

      per liberar Ruggier, tolto a Brunello,

      poi per trarlo di man d'Alcina rea,

      mandato in India per Melissa a quello.

      Melissa (come dianzi io vi dicea)

      in ben di molti adoperò l'annello;

      indi l'avea a Ruggier restituito,

      dal qual poi sempre fu portato in dito.

109

      Lo dà ad Angelica ora, perché teme

      che del suo scudo il fulgurar non viete,

      e perché a lei ne sien difesi insieme

      gli occhi che già l'avean preso alla rete.

      Or viene al lito e sotto il ventre preme

      ben mezzo il mar la smisurata cete.

      Sta Ruggiero alla posta, e lieva il velo;

      e par ch'aggiunga un altro sole al cielo.

110

      Ferì negli occhi l'incantato lume

      di quella fera, e fece al modo usato.

      Quale o trota o scaglion va giù pel fiume

      c'ha con calcina il montanar turbato,

      tal si vedea ne le marine schiume

      il mostro orribilmente riversciato.

      Di qua di là Ruggier percuote assai,

      ma di ferirlo via non truova mai.

111

      La bella donna tuttavolta priega

      ch'invan la dura squama oltre non pesti.

      – Torna, per Dio, signor: prima mi slega

      (dicea piangendo), che l'orca si desti:

      portami teco e in mezzo il mar mi anniega:

      non far ch'in ventre al brutto pesce io resti. —

      Ruggier, commosso dunque al giusto grido,

      slegò la donna, e la levò dal lido.

112

      Il destrier punto, ponta i piè all'arena

      e sbalza in aria, e per lo ciel galoppa;

      e porta il cavalliero in su la schena,

      e la donzella dietro in su la groppa.

      Così privò la fera de la cena

      per lei soave e delicata troppa.

      Ruggier si va volgendo, e mille baci

      figge nel petto e negli occhi vivaci.

113

      Non più tenne la via, come propose

      prima, di circundar tutta la Spagna;

      ma nel propinquo lito il destrier pose,

      dove entra in mar più la minor Bretagna.

      Sul lito un bosco era di querce ombrose,

      dove ognor par che Filomena piagna;

      ch'in mezzo avea un pratel con una fonte,

      e quinci e quindi un solitario monte.

114

      Quivi il bramoso cavallier ritenne

      l'audace corso, e nel pratel discese;

      e fe' raccorre al suo destrier le penne,

      ma non a tal che più le avea distese.

      Del destrier sceso, a pena si ritenne

      di salir altri; ma tennel l'arnese:

      l'arnese il tenne, che bisognò trarre,

      e contra il suo disir messe le sbarre.

115

      Frettoloso, or da questo or da quel canto

      confusamente l'arme si levava.

      Non gli parve altra volta mai star tanto;

      che s'un laccio sciogliea, dui n'annodava.

      Ma troppo è lungo ormai, Signor, il canto,

      e forse ch'anco l'ascoltar vi grava:

      sì ch'io differirò l'istoria mia

      in altro tempo che più grata sia.

      CANTO UNDICESIMO

1

      Quantunque debil freno a mezzo il corso

      animoso destrier spesso raccolga,

      raro è però che di ragione il morso

      libidinosa furia a dietro volga,

      quando il piacere ha in pronto; a guisa d'orso

      che dal mel non sì tosto si distolga,

      poi che gli n'è venuto odore al naso,

      o qualche stilla ne gustò sul vaso.

2

      Qual ragion fia che 'l buon Ruggier raffrene,

      sì che non voglia ora pigliar diletto

      d'Angelica gentil che nuda tiene

      nel solitario e commodo boschetto?

      Di Bradamante più non gli soviene,

      che tanto aver solea fissa nel petto:

      e se gli ne sovien pur come prima,

      pazzo è se questa ancor non prezza e stima;

3

      con la qual non saria stato quel crudo

      Zenocrate di lui più continente.

      Gittato avea Ruggier l'asta e lo scudo,

      e si traea l'altre arme impaziente;

      quando abbassando pel bel corpo ignudo

      la donna gli occhi vergognosamente,

      si vide in dito il prezioso annello

      che già le tolse ad


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