Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 1. Edward Gibbon

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 1 - Edward Gibbon


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un abuso molto pericoloso156. Secondo l'antica giurisprudenza uno schiavo non avea patria: acquistando la libertà egli veniva ammesso nella società politica, di cui il suo patrono era membro. Le conseguenze di questa massima avrebbero prostituiti i privilegi della cittadinanza romana ad una vile e promiscua moltitudine. Furon perciò stabilite alcune opportune eccezioni; e l'onorevol distinzione di cittadino fu ristretta soltanto a quegli schiavi, i quali per giuste cagioni, e con l'approvazione del magistrato eran solennemente e legalmente manumessi. Di più questi scelti liberti non ottenevan che i privati diritti di cittadini, ed erano rigorosamente esclusi dagl'impieghi civili e dal servizio militare. Qualunque esser potesse il merito o la ricchezza dei loro figli, essi eran parimente stimati indegni di aver posto in Senato; nè si cancellavano affatto le tracce della origine servile fino alla terza o quarta generazione157. Così senza distrugger la distinzione degli ordini, la libertà e gli onori si mostravano in lontananza anche a quelli, che l'orgoglio e il pregiudizio sdegnavano quasi di annoverare fra gli uomini.

      Fu una volta proposto di dar agli schiavi per distintivo un abito particolare, ma si temè con ragione che vi fosse qualche pericolo nel far ad essi conoscere la grandezza del loro numero158. Senza interpretare nel loro più stretto senso le pompose voci di legioni e di miriadi159, si può probabilmente asserire che la proporzione degli schiavi, che si valutavano come proprietà, era più considerabile di quella dei servi mercenarj160. I giovani di un ingegno che prometteva, erano instruiti nelle arti e nelle scienze, ed il loro prezzo si misurava dal grado della loro abilità e dei loro talenti161. Quasi ogni professione o liberale162 o meccanica, si trovava nella casa di un ricco Senatore. I ministri della magnificenza e del piacere erano moltiplicati oltre l'idea del lusso moderno163. Il mercante o il manifattore trovava più utile a comprare, che a prendere a paga i suoi lavoranti; e nella campagna gli schiavi erano impiegati come gli strumenti meno costosi e più utili dell'agricoltura. Si possono portare diversi particolari esempi per confermar la generale osservazione, e mostrare la moltitudine degli schiavi. Un tristo avvenimento fece scoprire che in un sol palazzo di Roma si mantenevano quattrocento schiavi164. Ne apparteneva un numero eguale ad una villa, che una vedova affricana di condizione molto privata cedè al suo figlio, mentre si riservava per se una maggior porzione del suo patrimonio165. Sotto il Regno di Augusto un liberto, le cui ricchezze erano molto diminuite per le guerre civili, lasciò tremila seicento paia di bovi, dugento cinquantamila capi di bestiame minuto, e quattromila cento sedici schiavi, i quali venivano quasi inclusi nella descrizione de! bestiame166.

      Il numero dei sudditi, i quali riconoscevano le leggi romane, cittadini, provinciali e schiavi, non si può determinare con quella precisione, che meriterebbe l'importanza del soggetto. Sappiamo che quando l'Imperatore Claudio esercitò l'uffizio di Censore, il censo fu di sei milioni novecento quarantacinquemila cittadini romani, i quali, computandovi in proporzione le donne ed i ragazzi, dovevano ascendere al numero quasi di venti milioni d'anime. La quantità dei sudditi di un grado inferiore era incerta e variabile. Ma dopo aver valutata attentamente ogni circostanza, che può influire nel comparto, sembra probabile, che al tempo di Claudio, il numero dei provinciali fosse quasi doppio di quello dei cittadini d'ogni età e d'ogni sesso; e che gli schiavi fossero almeno eguali in numero agli abitanti liberi dell'orbe romano. La somma totale di questo calcolo imperfetto ascenderebbe quasi a cento venti milioni; popolazione, che forse eccede quella della Europa moderna167 e forma la più numerosa società che sia mai stata unita sotto lo stesso sistema di governo.

      La pace e l'unione interna erano le naturali conseguenze della moderata ed illuminata politica dei Romani. Se volgiamo gli occhi alle Monarchie dell'Asia, vedremo nel centro il dispotismo, e la debolezza nelle estremità; la percezione delle entrate, o l'amministrazione della giustizia sostenuta dalla presenza dell'armi; nemici barbari stabiliti nel cuor del regno; satrapi ereditari che usurpano il dominio delle province, e sudditi disposti alla ribellione, sebbene incapaci di libertà. Ma l'obbedienza del Mondo romano era uniforme, volontaria e costante. Le vinte nazioni, raccolte in un gran popolo, ponevano giù la speranza, anzi il desiderio di riacquistare la loro indipendenza, e consideravano appena la loro esistenza come distinta da quella di Roma. L'autorità, già assodata degl'Imperatori, si stendeva senza fatica per la vasta estensione dei loro dominj, ed era esercitata con la stessa facilità sulle rive del Tamigi o del Nilo, come su quelle del Tevere. Le legioni erano destinate a servire contro i pubblici nemici, ed il magistrato civile rare volte implorava l'aiuto della forza militare168. In questo stato di general sicurezza il Principe ed il popolo impiegavano l'ozio e l'opulenza loro ad ingrandire e adornare l'Impero romano.

      Quanti fra gl'innumerabili monumenti di architettura costruiti dai Romani, sono sfuggiti alla notizia della storia, e quanti pochi han resistito alle distruzioni del tempo e de' Barbari! E pure le sole maestose rovine che si vedono tuttavia sparse per l'Italia e per le province, servirebbero a provare che quei luoghi furono una volta la sede di un Impero colto e possente. La loro sola grandezza, o la loro bellezza meriterebbe la nostra attenzione; ma esse divengono anche più interessanti per due circostanze importanti, le quali uniscono la dilettevole storia delle arti con la storia più utile degli umani costumi. Molte di queste fabbriche erano erette a spese private, e destinate quasi tutte alla pubblica utilità.

      È naturale il supporre che la maggior parte e la più considerabile dei romani edifizj fosse innalzata dagli Imperatori, che potevano illimitatamente disporre di tanti uomini e di tanti tesori. Augusto era solito di vantarsi, che aveva trovata la sua capitale fabbricata di mattoni, e la lasciava fabbricata di marmo169. La stretta economia di Vespasiano fu la sorgente della sua magnificenza. Le opere di Traiano portano il marchio del suo grand'animo. I pubblici monumenti con i quali Adriano adornò ogni provincia dell'Impero, furono eseguiti non solo pe' suoi ordini, ma sotto la sua immediata ispezione. Era artista egli stesso, ed amava quelle arti che accrescevano la gloria del Monarca. Esse furono incoraggiate dagli Antonini, come proprie a contribuire alla felicità del popolo. Ma se gl'Imperatori furono gli architetti primarj del loro Impero, non ne furono per altro i soli. Il loro esempio fu generalmente imitato dai principali sudditi, i quali non temevano di mostrare, ch'essi avevano spirito da concepire, o ricchezze da terminare le più nobili imprese. Non era appena eretto e consacrato a Roma il superbo Colosseo, che Capua e Verona innalzarono a spese proprie e per uso loro altri edifizj, invero men vasti, ma costruiti sullo stesso disegno e coi medesimi materiali170. L'iscrizione del maraviglioso ponte di Alcantara attesta, che esso fu gettato sul Tago a spese di poche comunità Lusitane. Quando a Plinio fu dato il governo della Bitinia e del Ponto, province che non erano nè le più ricche, nè le più considerabili dell'Impero, egli trovò le città della sua giurisdizione, che gareggiavano in fabbriche, le quali per l'utilità e per l'ornamento meritassero la curiosità dei forestieri, o la gratitudine dei cittadini. Era dover del Proconsole di supplire a ciò che loro mancava, di regolare il lor gusto, e talvolta di moderare la loro emulazione171. I ricchi Senatori di Roma e le province consideravano come un onore, e quasi come un obbligo l'accrescere lo splendore del loro secolo e della lor patria; e l'influenza della moda bene spesso suppliva alla mancanza del buon gusto o della generosità. Tra la folla di questi privati benefattori, merita di esser distinto Erode Attico, cittadino ateniese, il quale vivea nel secolo degli Antonini; e qualunque fosse il motivo che lo faceva operare, la sua magnificenza sarebbe stata degna dei Re più grandi.

      La famiglia di Erode, almeno dopo che si trovò favorita dalla fortuna, fu fatta discendere per linea retta da Cimone e Milziade, da Teseo e Cecrope, da Eaco e Giove. Ma la posterità di tanti Numi e di tanti eroi era caduta nello stato il più abbietto. L'avo di Erode era stato nelle mani della giustizia, e Giulio Attico, suo padre, avrebbe finiti


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<p>156</p>

Ved. un'altra Dissert. del suddetto M. de Burigny intorno ai liberti dei Romani nel XXXVII tomo della stessa Accad.

<p>157</p>

Spanheim Orb. Rom. l. I. c. 16 p. 124 ec.

<p>158</p>

Seneca, De Clementia l. I. C. 24. L'Originale è molto più forte. Quantum periculi immineret, si servi nostri numerare nos coepissent.

<p>159</p>

Ved. Plinio Stor. Nat. l. XXXIII e Ateneo Deipnos, l. VI p. 272. Questi asserisce arditamente che ha conosciuto molti Παμπολλοι Romani che possedevano non per uso, ma per ostentazione dieci ed ancora ventimila schiavi.

<p>160</p>

In Parigi si contano più di 43700 servitori di ogni sorta, che non fanno la dodicesima parte de' suoi abitanti. Messanges Ricerche sulla popolazione p. 186.

<p>161</p>

Uno schiavo colto si vendeva molte centinaia di zecchini. Attico ne avea sempre alcuni da educare, ai quali dava lezione egli stesso. Cornel. Nep. Vit. Attici cap. 13.

<p>162</p>

La maggior parte dei medici romani erano schiavi. Ved. La Dissert. e la Difesa del Dott. Middleton.

<p>163</p>

Pignorio De servis fa una lunghissima enumerazione dei loro ordini e dei loro impieghi.

<p>164</p>

Tacito Ann. XIV 43. Furono giustiziati per non aver previsto o impedito l'assassinio del loro padrone.

<p>165</p>

Apuleio in Apolog. p. 548. Edit. Delph.

<p>166</p>

Plinio Stor. Nat. l. XXXIII 47.

<p>167</p>

Se si contano 20 milioni di anime in Francia, 22 in Germania, 4 in Ungheria, 10 in Italia e nell'isole adiacenti, 8 nella Gran-Bretagna e in Irlanda, 8 in Spagna e in Portogallo, 10 o 12 nella Russia europea, 6 in Polonia, 6 in Grecia ed in Turchia, 4 in Svezia, 3 in Danimarca e Norvegia, e 4 nei Paesi Bassi; il totale monterà a 105, o 107 milioni. Ved. la Stor. Gen. di Voltaire. (I computi della popolazione europea sono ora diversi d'assai. La sola Italia contiene al presente 12 milioni d'abitatori.)

<p>168</p>

Giuseppe de bello Judaico l. II c. 16. Il discorso di Agrippa, o a dir meglio, quello dello Storico, è una bella descrizione dell'Impero romano.

<p>169</p>

Svetonio, vita di Augusto c. 28. Augusto fabbricò in Roma il tempio e la piazza di Marte Vendicatore; il tempio di Giove Fulminante nel Campidoglio; quello di Apollo Palatino con pubbliche librerie; il portico, e la basilica di Caio e Lucio; i portici di Livia e di Ottavia; ed il teatro di Marcello. L'esempio del Sovrano fu imitato dai Ministri e dai Generali, ed il suo amico Agrippa fece innalzare il Panteon, monumento immortale.

<p>170</p>

Ved. Maffei Ver. Illustr. l. IV pag. 68.

<p>171</p>

Ved. il l. X delle Lettere di Plinio. Tra le fabbriche intraprese a spese dei cittadini, quest'Autore parla di quelle che seguono: a Nicomedia una nuova piazza, un acquedotto e un canale, che uno degli antichi Re avea lasciato imperfetto; a Nicea un Ginnasio e un Teatro che era già costato quasi cento ottantamila zecchini; alcuni bagni a Claudiopoli e Prusa; e un acquedotto lungo cinque leghe ad uso di Sinope.