Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 1. Edward Gibbon
Читать онлайн книгу.nuovo splendore dalle proprie ceneri; e quella capitale, come Capua e Corinto, ricuperarono ben presto tutti i vantaggi, che possono aversi senza una indipendente sovranità.
IV. Le province dell'Oriente presentarono il contrasto della magnificenza romana con la barbarie ottomana. Le rovine dell'antichità, sparse per le inculte campagne, e attribuite dall'ignoranza al potere della magìa, danno appena un asilo al contadino oppresso, o all'Arabo vagabondo. Sotto il regno dei Cesari, l'Asia, propriamente detta, conteneva cinquecento città molto popolate184, arricchite di tutti i doni della natura, ed adornate da tutti i raffinamenti dell'arte. Undici città dell'Asia si erano una volta disputato l'onore di dedicare un tempio a Tiberio, ed il Senato esaminò i loro meriti respettivi185. Quattro di esse furono immediatamente rigettate come incapaci di un tanto peso; ed una di queste era Laodicea, il cui splendore apparisce ancora nelle sue rovine186. Laodicea ricavava una considerabilissima entrata da' suoi greggi, famosi per la finezza della lana, ed avea ricevuto, poco avanti a questa contesa, un legato di più di ottocentomila zecchini lasciatole da un generoso cittadino187. Se tale era la povertà di Laodicea, qual deve essere stata l'opulenza di quelle città, le cui pretensioni parvero preferibili, e specialmente di Pergamo, di Smirne e di Efeso, le quali sì lungamente si disputarono il titolar primato dell'Asia188? Le capitali della Siria e dell'Egitto erano di un ordine ancor superiore nell'Impero. Antiochia ed Alessandria riguardavan con disprezzo una folla di città dipendenti189, e non cedevano, che con ripugnanza, alla maestà della stessa Roma.
Tutte queste città comunicavano una con l'altra, e colla capitale per mezzo delle strade maestre, le quali partendosi dal Foro di Roma, traversavan l'Italia, penetravano nelle province, e non terminavano che ai confini dell'Impero. Se si prenda esattamente la distanza dal muro di Antonino a Roma, e di là a Gerusalemme, si troverà che la gran catena di comunicazione da maestro a scirocco si estendeva per la lunghezza di quattromila ottanta miglia romane190. Le pubbliche strade erano esattamente divise dalle colonne miliarie, e andavano in retta linea da una città all'altra con assai poco riguardo agli ostacoli o della natura o della privata proprietà. Si foravano i monti, e si gettavano grand'archi su i fiumi più larghi e più rapidi191. Il mezzo della strada era molto elevato sopra l'adiacente campagna, ed era fatto con molti strati di sabbia, di ghiaia e di cemento, e lastricato di larghe pietre, o di granito192 in alcuni luoghi vicini alla capitale. Tale era la stabile costruzione delle strade maestre dei Romani, la cui solidità non ha interamente ceduto allo sforzo di quindici secoli. Esse procuravano ai sudditi delle più distanti province una corrispondenza facile e regolare; ma il loro oggetto primario era stato di facilitare la marcia delle legioni; nè alcun paese si considerava come pienamente soggiogato, finchè non era renduto in tutte le sue parti accessibile all'armi ed all'autorità del conquistatore.
Il vantaggio di ricevere più sollecite le notizie, e di spedire con celerità i loro ordini, indusse gl'Imperatori a stabilire, per tutto il loro esteso dominio, le poste regolari193. Si eressero da per tutto case in distanza soltanto di cinque o sei miglia; ciascuna delle quali era costantemente provvista di quaranta cavalli, e con l'aiuto di queste poste era facile di fare cento miglia in un giorno per le strade romane194. Il comodo delle poste si concedeva a quelli, che avevano un mandato imperiale; ma quantunque nella sua istituzione fosse destinato al pubblico servizio, era qualche volta concesso al privato dei cittadini195.
La comunicazione dell'Impero romano per mare non era meno libera ed aperta che per terra. Il Mediterraneo si trovava circondato dalle province; e l'Italia, a guisa di un immenso promontorio, si avanzava nel mezzo di questo gran lago. Sulle coste d'Italia vi sono pochi seni sicuri; ma l'umana industria avea supplito alla mancanza della natura; e il porto artificiale di Ostia, specialmente, collocato all'imboccatura del Tevere, e fatto dall'Imperator Claudio, era un utile monumento della romana grandezza196. Da questo porto, lontano dalla capitale sole sedici miglia, i vascelli con un vento favorevole arrivavano spesso in sette giorni alle Colonne d'Ercole, ed in nove o dieci in Alessandria d Egitto197.
Per quanti mali la ragione o la declamazione abbia imputato agl'Imperj troppo estesi, la potenza di Roma era accompagnata da alcune conseguenze utili al genere umano; e la stessa libertà di commercio, che dilatava i vizj, diffondeva ancora i vantaggi della vita sociale. Nei più remoti secoli dell'antichità, il Mondo era inegualmente diviso. L'Oriente era da tempo immemorabile in possesso delle arti e del lusso, mentre l'Occidente era abitato da rozzi e guerrieri Barbari, che o disprezzavano o ignoravano affatto l'agricoltura. Sotto la protezione di un governo assodato, le produzioni dei climi più felici, e l'industria delle nazioni più culte s'introdussero a poco a poco nelle parti occidentali dell'Europa; ed un libero ed util commercio incoraggiò i nazionali a moltiplicare i prodotti, e a migliorare le arti. Sarebbe quasi impossibile di numerare tutti i generi del regno o animale o vegetabile, che furono successivamente trasportati nell'Europa dall'Asia e dall'Egitto198; ma non disconverrà al decoro, e molto meno all'utilità di una storia il toccar leggermente alcuni dei capi principali. I. Quasi tutti i fiori, l'erbe ed i frutti, che nascono nei nostri giardini europei, sono di estrazion forestiera, manifestata spesso dai lor nomi medesimi; la mela era nativa d'Italia, e quando i Romani ebber gustato il sapore più delicato dell'albicocca, della pesca, della melagranata, del cedro, dell'arancia, si compiacquero di dare a tutti questi nuovi frutti la comune denominazione di pomo, distinguendoli con aggiunger l'epiteto del loro paese.
II. Al tempo d'Omero la vite cresceva inculta in Sicilia, e forse ancora nel vicin continente: ma non era perfezionata dall'arte degli abitanti selvaggi, i quali non sapeano estrarre un liquore soave al gusto199. Mille anni dopo, l'Italia potè vantarsi, che delle ottanta specie dei vini più generosi e celebri, più di due terzi eran prodotti dal proprio suolo200. Questa pianta preziosa s'introdusse nella provincia narbonese della Gallia; ma al tempo di Strabone il freddo nella parte settentrionale delle Sevenne era così eccessivo, che si credeva impossibile di farvi maturare le uve201. Questa difficoltà, non pertanto, a poco a poco fu superata; e vi è qualche ragione di credere che le vigne di Borgogna sieno d'antichità eguale al secolo degli Antonini202. III. L'olivo, nel Mondo occidentale, era il compagno ed il simbolo della pace. Due secoli dopo la fondazione di Roma, questo utile albero era sconosciuto e all'Italia ed all'Affrica; ma vi fu poi naturalizzato, e finalmente portato nel cuore della Spagna e della Gallia. La timida ignoranza degli antichi, i quali pensavano, che gli fosse necessario un certo grado di calore, nè potesse crescere che nelle vicinanze del mare, fu insensibilmente distrutta dall'industria e dall'esperienza203. IV. La coltivazione del lino passò dall'Egitto nella Gallia ed arricchì l'intero paese, per quanto potesse impoverire le terre particolari nelle quali era seminato204. V. L'uso dei prati artificiali divenne familiare all'Italia e alle province, e specialmente l'erba medica, ossia il trifoglio, che deve alla Media il nome e l'origine205. Le sicure provvisioni di un cibo sano ed abbondante pel bestiame nel verno moltiplicarono il numero delle mandrie, le quali a vicenda contribuirono alla fertilità del terreno. A tutti questi vantaggi si può aggiungere un'assidua attenzione alle pesche ed alle miniere, le quali impiegando una moltitudine di mani laboriose, servivano ad accrescere i piaceri del ricco, e la sussistenza del povero. Columella, nel suo elegante trattato, descrive il florido stato dell'agricoltura spagnuola sotto il regno di Tiberio; ed è da osservarsi, che quelle carestie, dalle quali fu così spesso angustiata la Repubblica nella sua infanzia, raramente o
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Giuseppe
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Tacit. Annal. IV 66. Ho impiegato qualche studio in consultare e paragonare tra loro i moderni viaggiatori, riguardo al fatto di quelle undici città dell'Asia; sette o otto sono affatto distrutte; Ipea, Tralli, Laodicea, Ilione, Alicarnasso, Mileto, Efeso, e possiamo aggiungere Sardi. Delle tre altre Pergamo è un misero villaggio di due o tremila abitanti. Magnesia, sotto il nome di Guzel-hissar, è città di qualche riguardo; e Smirne è una città grande, popolata di centomila anime. Ma mentre che in Smirne i Franchi hanno conservato il commercio, i Turchi hanno rovinate le arti.
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Ved. una esattissima e curiosa descrizione delle rovine di Laodicea nei viaggi di Chandler per l'Asia Minore p. 225 ec.
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Strabone l. XII. 866. Egli avea studiato in Tralli.
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Ved. una Dissertazione di M. de Boze, Mem. dell'Accad. tom. XVIII. Aristide recitò un'orazione, che ancora esiste, per raccomandare la concordia alle città rivali.
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Gli abitanti dell'Egitto, eccettuata Alessandria, si facevano ascendere a sette milioni e mezzo. Giuseppe
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Il seguente itinerario può servire a dar qualche idea della direzione del cammino, e della distanza tra le principali città. I. Dalla muraglia di Antonino fino a York 222 miglia romane. II. A Londra 227. III. A Rhutupia ovvero Sandwich 67. IV. Tragitto fino a Bologna 45. V. A Rheims 174. VI. A Lione 330. VII. A Milano 324 VIII. A Roma 426. IX. A Brindisi 360. X. Tragitto fino a Durazzo 40. XI. A Bisanzio 711. XII. Ad Ancira 283. XIII. A Tarso 301. XIV. Ad Antiochia 141 XV. A Tiro 252 XVI. A Gerusalemme 168 in tutto miglia Romane 4080. Ved. gl'Itinerarj pubblicati da Wesselling colle sue note; vedasi ancora Gale e Stukeley per la Britannia, e d'Anville per la Gallia e l'Italia.
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Montfaucon.
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Bergier Storia delle strade maestre dell'Impero rom. l. II c. 128.
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Procopio
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Al tempo di Teodosio, Cesario, magistrato di alto affare, venne per la posta da Antiochia a Costantinopoli. Cominciò il suo viaggio di notte; fu la sera dipoi nella Cappadocia a 165 miglia da Antiochia, ed arrivò a Costantinopoli il sesto giorno verso mezzodì. L'intera distanza era di miglia 725 romane. Ved. Libanio
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Plinio, benchè ministro favorito, dovè giustificarsi per aver fatto dare cavalli di posta alla sua moglie per un affare di gran premura. Epist. X l. X 121 122.
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Bergier luog. cit. l. IV c. 49.
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Plinio Stor. Nat. XIX 1.
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È probabile che i Greci ed i Fenicj introducessero nuove arti e nuove produzioni nelle vicinanze di Cadice, e di Marsiglia.
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Ved. Omero Odiss. l. IX v. 358.
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Plinio Stor. Nat. l. XLV.
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Strab. Geog. l. IV p. 223. Il freddo eccessivo di un inverno Gallo era un proverbio tra gli antichi.
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Nel principio del quarto secolo l'Oratore Eumene
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Plinio Stor. Nat. l. XV.
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Plinio Stor. Nat. l. XIX.
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Il bel saggio di Harte sull'agricoltura; egli ha unito in quest'opera tutto ciò che gli antichi e i moderni han detto del trifoglio.